“No ragazzi, scusate” – disse Mark Lanegan ai Soulsavers prossimi ad incidere il loro quarto lavoro in studio – “Non posso davvero tornare a cantare con voi perché di qui a poco uscirà un mio disco solista che si intitola ‘Blues Funeral’, ed è troppo simile nei suoni e negli intenti a quello che abbiamo fatto noi per due dischi di fila. Però adesso è diverso, c’è del conflitto di interesse”. E’ ovvio che questo dialogo immaginario tra il cantautore americano ed il duo Rich Machin ed Ian Glover non si sia mai svolto, cionondimeno è davvero curioso notare quando il buon Lanegan abbia preso come spunto dai Soulsavers per l’ultimo suo exploit solista. Poco male ad ogni modo: per il loro disco più crepuscolare, gli inglesi si sono ricordati di un’antica promessa fatta ai tempi di un tour condiviso con i Depeche Mode, con un entusiasta Dave Gahan ben disposto a partecipare in qualsiasi momento come voce su un lavoro a firma Soulsavers, per cui oggi eccoci qui con questo “The Light The Dead See”.
Cominciamo col dire che la voce calda e sensuale del buon Gahan è quanto di meglio si possa desiderare per questo nuovo disco, e proseguiamo dicendo che così facendo, tuttavia, forte sembra essere la sensazione di avere a che fare più con un lavoro solista della voce dei Depeche Mode, che con un lavoro del celebre duo di produttori inglesi. Sia chiaro che quella commistione tra chamber pop, soul e rock è ancora ben presente in questo lavoro, tuttavia una canzone come “Presence Of God” fa venire alla mente con troppa facilità il Martin Gore più intimo e riflessivo, lo stesso che Gahan prese in prestito per i suoi due dischi solisti. Quindi, visto che siamo in ambito di chiaroscuri, è bene precisare subito che il difetto principale del disco sia una scarsa dinamica d’insieme del lavoro.
“The Light The Dead See”, difatti, è un’opera che penetra lentamente, tuttavia inesorabilmente, nelle carni, come una lama spinta con sadica calma laddove la pelle è più sottile, e se ad una prima sessione di ascolti perniciosa è l’impressione da: “sentito un brano, sentiti tutti”, è anche vero che, man mano si danno possibilità all’inciso, ecco venire a galla numerosi quanto preziosi dettagli. Stiamo parlando della chitarra post che si agita contorcendosi su una “In The Morning”, delle backing vocal black soul di una “Longest Day” e “Just Try”, dell’incedere distorto ed elettrico di “Gone Too Far”, degli ottoni che condensano lo spirito rock di “Bitterman”, lo stesso spirito che muove la reinterpretazione del genere nella giocosità assai drammatica di una “Take”, o dell’armonica a bocca che riscalda la conclusiva “Tonight”, unico barlume di luce in un mare di soffice e confortevole oscurità.
Sebbene alla resa dei conti la bilancia penda ancora una volta con decisione a favore dei Soulsavers, è davvero un peccato dover constatare che, con molto poco sforzo in più, probabilmente ora staremmo qui a scrivere di un lavoro tremendamente significativo, piuttosto che del classico disco “solamente” buono. E – se consentite al sottoscritto un’osservazione conclusiva forse un poco fuori luogo – altrettanto certo che, nonostante tutto, questo “The Light The Dead See” è molto meglio di quanto prodotto dai Depeche Mode negli ultimi quindici anni, e questa classe pervasiva in fase sonora consente a Dave Gahan di cantare con un’espressività che da troppo tempo non gli sentivamo addosso.
A buon intenditor...