Si potrà dire di tutto dei Baroness, ma che siano una band che non si prende rischi certamente no. Arrivati a traguardi decisamente importanti con soli due album manifesto come “Red Album” e “Blue Record”, i ragazzi di Savannah hanno saputo cavalcare a aizzare l’hype al punto giusto da far indicare ai più il terzo lavoro in studio, “Yellow & Green”, come uno dei dischi più attesi dell’anno.
E gli elementi per attendere ansiosamente “Yellow & Green” c’erano tutti, dalla presenza di un doppio album, al solito artwork spettacolare ad opera del mainman John Baizley (diventato uno dei disegnatori di copertine più richiesti) e non ultima la curiosità di vedere fino a che punto i Baroness si fossero spinti con l’evoluzione, partiti da un ruvido sludge intrecciato con tantissime influenze, arrivando a confezionare brani sempre più rifiniti. Diciamo subito che con “Yellow & Green” il salto generazionale da “Blue Record” è uno di quelli che farebbe impallidire anche i tuffatori più esperti, un coraggiosissimo doppio salto mortale carpiato verso platee più ampie, verso sonorità più accessibili e orecchiabili, verso una dimensione sonora di maggior respiro, scavalcando le barriere dell’underground, rischiando di perdere tanti fan della prima ora, ma rischiando anche di guadagnarne molti di più.
Rischio dunque e dove c’è rischio non può non esserci ambizione. E i Baroness a questo giro di ambizione ne hanno dimostrata a tonnellate, sostanzialmente cambiando pelle (o per essere pignoli alcuni strati della propria pelle), quasi una nuova band che scaccia l’ipotesi di fossilizzarsi in un sound e in una scena forse più appagante per le orecchie di (pochi ahimè) fanatici cultori. A grandi linee la stessa operazione compiuta dai Mastodon con “The Hunter” o, se proprio vogliamo esagerare, col “Black Album” di casa Metallica, forse l’esempio per eccellenza di disco di “rottura” e di apertura verso un pubblico che non sia prettamente metal. Infatti in “Yellow & Green” di metal non ve n’è manco l’ombra, idem la ruvidità sludge, linee vocali abrasive o particolari digressioni strumentali. Per prima cosa i nostri semplificano tutto l’impianto compositivo, i brani proposti seguono una linearità sconosciuta ai tempi di “Red Album”, assumendo quindi un appeal radiofonico importante (ovviamente per i paesi che non siano l’Italia), e non a caso è stata scelta come prima anticipazione in rete “Take My Bones Away”, con più di qualche assonanza coi Nickelback, il brano più easy ed immediato del lotto.
Semplificazione delle strutture che però non è accompagnata da una semplificazione dei contenuti, delle influenze, delle atmosfere, anzi, proprio in linea con l’ambizione menzionata all’inizio, mai così ampie e profonde. Scorrendo la tracklist si passa dal prog rock alla psichedelia, incontrando post rock, new wave, stoner, postcore, senza rinunciare a qualche sferzata heavy. Un rock estremamente variegato dal forte sentore vintage (elemento enfatizzato dall’ottima produzione), che sposa una presentazione più accessibile con melodie che necessitano diversi ascolti dedicati per far breccia, in cui registriamo i netti (e necessari) miglioramenti del cantato di John Baizley e del chitarrista Peter Adams, in intrecci vocali di grande fascino.
Un album di rottura dicevamo, un doppio disco che potrebbe essere malamente giudicato da un ascolto superficiale o che rimpiange i Baroness di “Isak” o “Jake Leg”, giusto per citare due brani eccezionali che non fanno più parte dell’universo giallo/verde degli americani. Per ascoltare “Yellow & Green” ci vogliono orecchie nuove e maggiore sensibilità, bisogna riconoscere l’evoluzione del sound e i motivi alla base di questa scelta. Per gli scontenti ci sono sempre i dischi rosso e blu, per tutti gli altri “Yellow & Green” potrebbe essere un valido motivo per spendere ore e ore cullati dalla bellezza che solo la musica può offrire. Ci si lamenta sempre di proposte fotocopia, di scene stantie e di dischi fatti unicamente per il mercato; bene, quando qualcuno cerca di elevarsi da questo pantano, non possiamo fare altro che rallegrarci, perchè vuol dire che in giro c’è ancora qualcuno che fa le cose come andrebbero fatte, con amore e passione.

Baroness
Yellow & Green
2012, Relapse Records
Prog Rock
Ambizione, amore e passione. I Baroness ci regalano un disco che dividerà i fan... Da che parte state?
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 15/07/12 
CD 1 (Yellow)
01. Yellow Theme
02. Take My Bones Away
03. March to the Sea
04. Little Things
05. Twinkler
06. Cocainium
07. Back Where I Belong
08. Sea Lungs
09. Eula
CD 2 (Green)
01. Green Theme
02. Board Up the House
03. Mtns. (The Crown & Anchor)
04. Foolsong
05. Collapse
06. Psalms Alive
07. Stretchmarker
08. The Line Between
09. If I Forget Thee, Lowcountry
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