Serj Tankian
Harakiri

2012, Warner Music
Rock/Crossover

Il suicidio rituale di Serj Tankian come cantautore solista?
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 25/07/12

…e fu così che, dopo un reunion tour a dir poco trionfale coi System Of A Down, lo scorso anno il vocalist Serj Tankian dichiarò che no, non ci sarebbe stato nel breve periodo un nuovo disco a firma SOAD (leggi: facile che non ci sarà mai un nuovo disco dei SOAD), ma che presto sarebbe tornato lui con un nuovo disco solista di inediti. “Stica!”, viene da pensare, visto che il buon Serj Tankjan, nelle vesti di cantautore a tutto tondo, presenta giusto un paio di piccole, “inavvertibili” lacune, la principale delle quali è la sua mancanza di pal…Coraggio.

Si prenda, a mero titolo di esempio, una “Uneducated Democracy” presente su questo "Harakiri", terzo inciso in carriera: è la canzone più incazzata del lotto, se c’era Malakian minimo minimo gliela tagliava al minuto e mezzo di durata che giustamente le compete; e invece no, il brano si trascina per ben quattro minuti, due dei quali sono praticamente il niente, o meglio: la ripetizione di quell’idea che si esprimeva ottimamente in quel benedetto minuto e mezzo. Ma non è solo questo: Serj sa di avere una voce stratosferica, ma è assai furbo nel concepire melodie (spesso, ahinoi, elementari - si veda “Cornucopia”) unicamente funzionali alla sua voce, per cui ecco che ci si può aspettare sempre la solita, epica apertura sui ritornelli. Ad aggiungere benzina sul fuoco, poi, il fatto che si sia tornati alla struttura rock più diretta dell’esordio come solista di “Elect The Dead” (un disco tutt’altro che indimenticabile), perdendo gli sfiziosi fronzoli orchestrali che caratterizzavano lo scorso “Imperfect Harmonies”, album certamente più eclettico e coraggioso di quello oggetto, oggi, di questa analisi.

A questo punto, vedendo il voto in calce, ci si chiederà lecitamente se ci sia del buono in questo inciso, e, fortunatamente, la risposta è affermativa. Al di là del timbro e dell’intonazione sempre gradita di Serj, torna anche la capacità lirica del cantautore armeno di saper inquadrare la nostra attualità usando spesso immagini altisonanti. Come voler comunicare un messaggio assai comune, ma con immagini che di comune hanno assai poco. Poi, “Ching Chime”, fantasiosa ed istrionica come tutto un disco a firma Serj Tankjan dovrebbe essere, con un sincopato indiavolato che si intreccia a conturbanti arabeschi; infine, il fatto che il Nostro, da “Occupied Tears” a “Forget Me Knot”, scopre quanto possa essere una preziosa alleata l’elettronica in sede di arrangiamento, proponendo nel mezzo un’intensa ed assolutamente inusuale ballad come “Deafening Silence” che apre interessanti presupposti che, si spera, verranno consolidati con più efficacia in futuro.

…perché non è bello che ad ogni uscita di Serj Tankian come solista si arrivi, sistematicamente, a rimpiangere i System Of A Down (sì, persino quelli di “Hypnotize/Mezmerize”). Si potrebbe quasi arrivare a sostenere che l’artista, da solo, non si sappia reggere molto bene sulle sue gambe. No?




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