“Sonorità vintage e solari unite a testi che raccontano temi generazionali”. Con queste poche, circostanziali parole si apre la press note che introduce all’esordio dei Bidiel, giovane trio di ventenni della provincia di Catania, e non ci si rende nemmeno conto che in quelle poche, circostanziali, parole c’è tutto l’universo sonoro della band. E questo non è certo un bene.
Siamo in territorio pop rock all’italiana, abusato, stra-abusato e così prevedibile che la noia sopraggiunge già su “Arsenico”, e siamo solo alla traccia numero tre. La band, poi, cerca di mascherare il tutto con un flavour british che fa tanto Beatles, ma anche questa soluzione non è che sono propriamente i Bidiel la prima band che la pensano e la mettono in pratica, perché a copiare dai più bravi della classe sono capaci tutti.
Ed è, in fondo, un peccato essere così duri, perché le potenzialità, nascoste sotto una pesante brace di “confortante” (!) banalità musicale e lirica, ci sono. Ad esempio, le melodie non sono così lineari, si vede che c’è una certa attenzione per la struttura; ad esempio, la sincope che muove “Polvere” fa felicemente venire alla mente un nervo (leggermente anestetizzato dal pop, il che lo rende ancora più stuzzicante) Linea 77, non a caso una delle band preferite del batterista Luca Caruso.
La sensazione preponderante al termine dell’ascolto del disco, tuttavia, è che ancora molto lavoro da fare – soprattutto in termini di personalità e di identità – aspetta i Bidiel, perché le “Cento Luci” che accendono in questo momento presente non sono capaci di abbagliarci, poiché alimentate da una corrente sì entusiasta e giovanile ma che, al permanere così delle cose, è destinata presto a scomparire, inghiottita in un oceano di qualunquismo in cui nuotano sin troppi pesci.