Marillion
Sounds That Can't Be Made

2012, earMUSIC
Prog Rock

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 18/09/12

Suoni che non si possono creare, che vengono da qualche angolo della mente, dal mondo esterno o da dentro di sé. Per comprendere le ragioni di un disco talvolta è sufficiente soffermarsi sul titolo o sui versi più significativi di una canzone, come in questo caso la title track. E’ qualcosa che va oltre l’esercizio retorico, perché ancora una volta sono tante le sensazioni che scaturiscono all’ascolto del diciassettesimo album in studio dei Marillion. La parabola infinita di Steve Hogarth e soci regala un altro disco dal forte impatto emotivo, l’ennesimo lavoro che richiederà innumerevoli ascolti nel tentativo di cogliere le minime sfumature di un suono affascinante e per certi versi indefinibile.

"Sounds That Can’t Be Made" non inverte la rotta intrapresa da tempo e prosegue sulla scia dell’ intimismo sofferto che ha caratterizzato tutta l’era Hogarth, ma è come se all’ascolto affiorasse uno spirito rinnovato, come se le inquietudini di “Happiness Is The Road” (2008) fossero state opportunamente filtrate e compattate in otto tracce monolitiche, così diverse eppure immerse nella stessa atmosfera. Se l’antipasto di “Power” vi aveva stuzzicato a dovere, il resto del menu richiederà dosi massicce di ammazzacaffè. Prendiamo i diciassette, indecifrabili minuti dell’opener “Gaza”, quanti gruppi nel 2012 avrebbero il coraggio di presentarsi davanti ai propri fans con un pezzo del genere? Quante sarebbero in grado di tirare fuori un pezzo epico come la title track, con quell’incedere di archi tipicamente british? Da anni contrari alle regole del business, pur con un occhio sempre attento su quanto succede attorno, i Marillion continuano a regalare una musica dal forte impatto emozionale, fatta di improvvisi crescendo e sussulti emotivi. La cornice è sempre quella di un sound genuino in cui confluisce di tutto, dai Beatles ai Coldplay, un mosaico tanto ricco all’ascolto eppure così autentico e privo di trucchi, legato a doppio filo agli umori e alle intuizioni di Steve Hogarth, ormai leader incontrastato di una band che ha letteralmente preso per mano e fatto sua. Alla faccia di chi nel tempo, lo ha relegato nel ruolo di eterno secondo contro ogni evidenza. Se c’è un personaggio che ha impedito alla band di divenire una parodia di certo sound tradizionale (chi ha detto Genesis?) beh, quello è proprio il vocalist.

Non sappiamo se “Sounds That Can’t Be Made” sia all’altezza di lavori come “Marbles” o di “Brave”, sembrerebbe di no, almeno sulla carta, dopotutto parliamo di due lavori concettualmente solidi anche a livello lirico, mentre questo è semplicemente un capitolo a parte ma comunque forte di una profondità concettuale ed emotiva che per certi versi lascia attoniti. Che altro aggiungere? Suoni del genere non possono essere creati, figuriamoci se possono essere spiegati o raccontati. Ogni parola è superflua, non resta che dire una cosa soltanto: spalancate le orecchie ai Marillion, non resterete delusi.





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