Skunk Anansie
Black Traffic

2012, 100%
Rock

Il beneficio del dubbio, agli Skunk Anansie, non è più consentito.
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 20/09/12

C’è una grandissima energia rock all’apertura di questo quinto inciso in studio a firma Skunk Anansie, come se “Black Traffic” dovesse in un certo senso riscattare le stanchezze ed i momenti morti (sovrabbondanti) di “Wonderlustre”, gradito ritorno sulle scene del quartetto britannico dopo quasi dieci anni di silenzio e – ahinoi – parziale delusione a cui si è, però, concesso il beneficio del dubbio. Ora, chi di voi ha sbirciato il voto a fondo pagina già sa che la missione è, un’altra volta, clamorosamente fallita, e per una serie di svariate ragioni.

Cominciamo con le buone notizie: questo è un disco più convinto del precedente, con una manciata di spunti di interesse affatto secondari, e sorprendentemente tutti raccolti in fondo all’opera: a partire dall’intonazione curiosa e stuzzicante della sempre divina Skin (in forma più che mai) nel singolo “I Believed In You”, per passare a quando la band si scorda (finalmente!) di cantare d’amore e ci propone prima una epica e vibrante “This Is Not A Game”, poi un hard rock festaiolo su “Sticky Fingers In Your Honey”. Ci sta bene anche la power ballad in chiusura, con quelle classiche aperture ariose con cui gli Skunk Anansie si sono saputi far apprezzare nel tempo, ma poi…

Poi il disco suona tremendamente prevedibile, addirittura pedante in quella fase iniziale, dove si spreca un duetto che, almeno sulla carta, avrebbe fatto scintille (si parla di “Spit You Out”, con gli Shaka Ponk), ed elementare nella melodia e nella struttura. Strofa-ritornello-strofa-ritornello, ritornello-ritornello: ad libitum per 38 minuti striminziti di durata, su una ricetta musicale brillante per i ‘90s, perfetta per i fan della band, ma indigesta per tutti gli altri, che hanno fatto oramai talmente tante partite seduti al tavolo “Skunk Anansie”, che il gioco sopraggiunge presto a noia.

Sia chiaro: fa piacere sentire una frontwoman come Skin meglio guidata dalla sua band di appartenenza rispetto ad una carriera solista che non ha saputo lasciare il segno (nonostante i buoni presupposti), fa anche piacere - perché no - che gli Skunk Anansie tornino con un disco del livello del qui presente “Black Traffic”. Tuttavia, non ci si chieda di accontentarsi, perché noi lo sappiamo che si può e si deve fare di più, e che tirare a campare sul fattore nostalgia non è realmente vivere, ma sfruttare una rendita.




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