The Birthday Massacre
Hide And Seek

2012, Metropolis Records
Darkwave

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 11/10/12

Al termine dell’ascolto dello scorso “Pins And Needles”, una cosa era chiara per i canadesi The Birthday Massacre: che un altro disco sulla falsariga della formula inventata con “Nothing And Nowhere” e via via ulteriormente raffinata fino a supremo splendore su “Walking With Strangers” non sarebbe stato perdonato alla band. Battere il ferro finché caldo era un atto anche dovuto, se vogliamo, ma è certo che, da un paio di annetti a questa parte, il metallo si fosse decisamente raffreddato, per cui la commistione di gothic, new wave, pop e lisergico industrial non avrebbe funzionato in quell’ipotetico futuro che, oggi, si concretizza con questo “Hide And Seek”, quinto inciso in carriera.

Tiriamo un sospiro di sollievo: il tanto agognato cambiamento c’è stato. Riprendendo la formula dell’EP “Imaginary Monsters” datato 2011, il sestetto di Toronto ha deciso di abbassare con convinzione le leve del lato rock della band, enfatizzando soprattutto le atmosfere wave e pop e risultando vincente nell’operazione, soprattutto nella riscoperta di un’anima glacialmente intimista che difficilmente, prima di questo inciso, si sarebbe cucita addosso alla musica dei Birthday Massacre (ascoltate “Play With Fire” e, soprattutto, la gelida ninna-nanna di “Cover My Eyes”) e, con ottima probabilità, neanche alla loro vocalist Chibi, finalmente matura ed espressiva come mai. Non fatevi dunque ingannare dal more of the same che è il singolo “Down”, ideale ponte tra un passato che, per fortuna, non è più destinato a ripetersi ed un presente sfiziosamente oscuro ed ottantiano.

Bene, dopo questo tonificante sospiro, è tempo di fare i conti con la dura realtà, ed i problemi che questo inciso reca con sé. Innanzitutto, nel suonare così smaccatamente darkwave e pop, i Birthday Massacre clamorosamente perdono molto della loro identità, allineandosi maggiormente alle centinaia di band che, in questi ‘10s, richiamano con forza gli ‘80s senza porre un quid caratterizzante (che, nello specifico della formazione, era rappresentato proprio dal lato gothic-rock della loro musica). Secondariamente, mancano i pezzi da novanta, i capolavori assoluti che, in ogni disco a firma TBM, potevi e dovevi aspettarti in scaletta, anche se “Calling” qui ci va molto vicino.

Certo, siamo lontani dagli esiti disastrosi di “Imaginary Monsters” (un EP che definire piatto è fargli un complimento), ma è altrettanto doveroso certificare che questo nascondino è un gioco che si trascina stancamente e senza la dovuta convinzione che l’evoluzione (od involuzione?) sonora della band demanda a grandissima voce. Non fosse per questa volontà di cambiamento sì manifesta, questo disco sarebbe ben lontano dalla sufficienza. Tuttavia, in questa sede si vuole premiare lo sforzo e l’intento, rimarcando che sì, la strada scelta è probabilmente anche quella giusta, ma quel che è certo è che bisogna percorrere il sentiero con maggiore convinzione ed ispirazione.

Date dunque a questo disco, ed alla band che ci sta dietro, una possibilità, anche e soprattutto se accusavate pesante stanchezza al termine dello scorso inciso; tuttavia, non aspettatevi grandi cose.




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