Che siate della scuola per cui Patrick Wolf deve essere forzatamente casinista, per cui non esiste niente al di là di “Wind In The Wires”, oppure della squadra pop-glamour elegante e luminosa, per cui vi abbandonate alla “Lupercalia” in una “Magic Position”, c’è una cosa che mette tutti d’accordo quando si parla del giovane cantautore inglese (oltre chiaramente al fatto che il suo lavoro meglio riuscito è “The Bachelor”): che il ragazzo ci sa fare in termini di arrangiamento. Ci sa fare dannatamente bene. Alla luce di questa oggettività, il fatto che il Nostro decida di onorare una decade in musica reinventando sedici pezzi della sua significativa discografia – EP inclusi – incidendo il tutto in chiave acustica non deve essere una di quelle operazioni che montano scetticismo, tutt’altro.
Al di là che basterebbe sentire com’è venuta “Wind In The Wires” per spazzare ogni dubbio sull’esito di questo doppio “Sundark And Riverlight”, sono tuttavia le circostanze ad essere decisamente amiche del buon Patrizio Lupo. Innanzitutto, la scelta degli strumenti: classica per un album acustico di un artista naturalmente incline al chamber pop, certo, ma arguta nel non voler nascondere a tutti i costi la sezione ritmica, agendo semmai in sottrazione anche su di essa, facendo sì che i vari brani suonino incredibilmente ricchi, nonostante privati di molti strati rispetto alle versioni originali. Merito dell’estro del nostro, che non si limita a cucire un nuovo arrangiamento attorno alle canzoni ma, spesso e volentieri, costruisce da zero l’interpretazione, riscrivendo anche i testi laddove necessario – e “Vulture”, in questa chiave, da pezzo sadicamente disperato riesce quasi a risultare struggente (!). Poi, una produzione ed incisione a dir poco smagliante nei Real World Studios di Peter Gabriel, per cui gli archi sono più pieni, il pianoforte più cristallino ed in genere non c’è un singolo volume fuori posto.
Difetti certamente ve ne sono, il principale dei quali – di natura prettamente soggettiva – è la scaletta stessa di questa sorta di “Best Of” molto alternativo, per cui magari la squadra blu dirà che si insiste troppo sul passato recente dell’artista, mentre la squadra rossa lamenterà l’assenza di numerosi singoli di sicuro successo peraltro facilmente trascrivibili (“Damaris” su tutti). La verità, tuttavia, è che sedici brani, alfine, sono troppo pochi, e lo sono principalmente perché sono per la maggior parte magnificamente riusciti, e per il resto comunque interessanti, e questa è la migliore garanzia che ci possa essere. Perché quando si desidera che la musica non abbia fine, allora siamo di fronte al sinonimo del successo.
E speriamo che questa catarsi acustica doni nuova linfa all’ispirazione del nostro beneamato Patrick Wolf; perché si cominciava a nutrire dei dubbi, ma “Sundark And Riverlight” ha portato nuovamente la luce.