Godspeed You! Black Emperor
Allelujah! Don'T Bend! Ascend

2012, Constellation
Post Rock

Recensione di Marco Mazza - Pubblicata in data: 28/10/12

Non li avevamo dimenticati i Godspeed You! Black Emperor. E’ impossibile dimenticare una delle band più influenti di tutto il panorama post-rock di sempre, che ha realizzato capolavori indimenticabili del calibro di “Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven”, un gruppo che ha creato l’intero movimento canadese, e che è stato capace di ridare linfa ad un intero genere, ridefinendolo e riavviandolo nella scena indipendente.


Ben dieci anni sono passati dalla loro ultima pubblicazione, il cupo e post-bellico “Yanqui U.X.O”, tanto da far pensare ai GY!BE come ad un gruppo virtualmente estinto. Sensazione rafforzata anche da alcune dichiarazioni certo non rassicuranti rilasciate in passato da Efrim Menuck, e dalla migrazione continua dei suoi membri in un’infinità di side project, come Thee Silver Mt. Zion, Fly Pan Am, HṚṢṬA, Esmerine, Set Fire to Flames, a cui hanno dedicato sempre più tempo. In realtà dalla fine del 2010 l’attività del gruppo è ripartita con un nuovo tour comprendente diverse date in Nord America e in Europa, che li ha visti proporre pezzi realizzati con materiale prodotto sin dal 2003. Sono stati proprio questi live, usati quasi come un laboratorio, la fonte da cui attingere per realizzare quest’ultimo lavoro: “Allelujah! Don'T Bend! Ascend”.

L’album, rilasciato ancora una volta sotto l’etichetta indipendente Constellation, è uscito senza alcun preavviso nell’ormai consueto silenzio generale della band di Montreal, che ha deciso infatti di non lasciare interviste, rendendo apparentemente difficile interpretare il messaggio veicolato; un aspetto fondamentale per poter valutare appieno un prodotto dei GY!BE. Già perché i poco loquaci ed ermetici canadesi hanno sempre usato i loro lavori come strumento di denuncia contro diversi aspetti della società attuale, si pensi solo al precedente più evidente, lo j’accuse di “Yanqui U.X.O.” contro la partecipazione alla produzione di armi di alcune major discografiche. La giusta chiave con cui riuscire ad aprire le strumentali tracce di questo “Allelujah! Don'T Bend! Ascend” è probabilemente quella della politica. A suggerirci questo punto di vista sono gli stessi GY!BE, che hanno in ogni occasione incoraggiato questa visione (side projects compresi), ma lo si può intuire anche attraverso i titoli e alcuni dettagli presenti in alcune tracce.


L’album è composto da due enormi composizioni da circa 20 minuti l’una, la versione evoluta e definitiva di due brani presentati nel tour degli ultimi 18 mesi, intervallate tra loro da drone-tracks. Questi ultimi pezzi, molto più brevi, fanno solo da sfondo allo scenario tracciato dall’opera, sono quasi delle extra-track con la funzione di collante e completamento del prodotto generale. Descritto così potrebbe sembrare un disco un pò vuoto, con poco da dire, ma in realtà, nonostante la sua struttura, le due composizioni principali riescono benissimo a sostenere il peso dell’intera uscita, non lasciando nessuna sensazione di incompletezza. Insomma, anche questa volta, i GY!BE di carne al fuoco ne hanno messa, e tanta.

L’opener è la monumentale “Mladic”. Il titolo è probabilmente un riferimento a Ratko Mladic, militare serbo accusato di genocidio e crimini contro l'umanità, ed è stata presentata nei live con il titolo di “Albanian”. Oscura e un minacciosa comincia con alcune prove radio, a cui seguono arpeggi di chitarra che, in un crescendo continuo e con percussioni sempre più emergenti, trascina al centro di un desolato scenario medio-orientale. Scure nuvole si accumulano progressivamente in un cielo sempre più minaccioso, fino a scoppiare in una tempesta dal tredicesimo minuto in poi, e che faranno di “Mladic” uno dei brani più rabbiosi mai realizzati dalla band. Il brano ricorda forse più i Thee Silver Mt. Zion di Efrim Menuck che i GY!BE, e rende evidente ancora una volta lo straordinario genio compositivo della band, in particolare proprio quello di Efrim. E’ infatti rara sua la capacità di creare moltissime variazioni sonore partendo da un unico tema, cosa che gli permette di ottenere una dinamicità pressoché unica pur tralasciando effetti e distorsioni varie. A differenza infatti di altri pur grandissimi gruppi, il percorso tracciato dai nove canadesi che porta all’esplosione catartica è strutturato su più livelli, avviene attraverso continue “vibrazioni” nella composizione, ottenendo un’incredibile intensità e coinvolgimento.


La successiva, certamente meno impegnativa, “Their Helicopters' Sing” è una delle drone tracks di cui parlavamo. Durante i poco più di sei minuti della sua durata le cornamuse fanno da sfondo alla visione di un tormentato paesaggio, in cui comunque l’ascoltatore riesce a tornare a respirare dopo la tempesta di “Mladic”. I venti minuti di “We Drift Like Worried Fire” costituiscono l’altra colossale composizione dell’album. Conosciuta negli spettacoli del tour con il titolo di “Gamelan”, è un brano certamente più simile a quelli del passato rispetto all’opener, di cui rappresenta l’altra faccia della medaglia. Alla rabbia di “Mladic” viene infatti sostituita la malinconia e l’inquietudine. La prima parte è costruita unicamente attorno ad un semplice, e di poche note, motivo principale. Motivo introdotto già con gli archi iniziali, ai quali si aggancia dopo pochi minuti la chitarra. L’ingresso delle percussioni rende possibili le brevi, intense “esplosioni controllate”, marchio di fabbrica dei GY!BE, che accompagneranno l’ascoltatore fino ad avvolgerlo in un climax unico, che sembra riportare alla mente ricordi di un tempo felice che fu. Lo scenario dipinto si interrompe bruscamente nella seconda parte, dall’undicesimo minuto l’atmosfera si fa cupa, i suoni sinistri, le percussioni si fanno sempre più prominenti. I ritmi inizialmente lenti e cadenzati si fanno via via più serrati fino a creare il meraviglioso intreccio sonoro finale, con l’esplosione totale di tutti gli strumenti. Una texture dall’incredibile impatto che rende “We Drift Like Worried Fire”, non solo il miglior pezzo presente nella tracklist dell’album, ma anche uno dei migliori mai scritti dalla band. I conclusivi otto angoscianti minuti di “Strung Like Lights At Thee Printemps Erable” conducono alla fine del viaggio. Come “Their Helicopters' Sing” è una traccia quasi astratta e ancor più piena di droni elettronici. Il titolo è un riferimento alla drammatica protesta degli studenti del Quebec, a cui il suo governo ha risposto con normative che hanno ridotto drasticamente la libertà di scendere in piazza dei manifestanti.

In definitiva, i dubbi che qualcuno poteva nutrire sul fatto che la band di Montreal potesse ancora rilasciare prodotti ai livelli dei precedenti, vengono spazzati via con questo “Allelujah! Don'T Bend! Ascend”, certamente una delle migliori uscite dell’anno. L’album ripaga pienamente dalla lunga attesa, e conferma ancora una volta GY!BE come uno dei più importanti punti di riferimento dell’intero panorama indie mondiale.





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