Carry-All
Drink It Yourself

2012, D.I.Y. ProudActions/Ammonia Records
Punk Rock

Recensione di Mia Frabetti - Pubblicata in data: 18/12/12

Be the change you want to see in the world”, aveva detto Gandhi. “Fuck that, be the trouble you want to see in the world”, era stata la reinterpretazione e la replica di Joey Comeau. Non dovrebbe forse essere questo lo spirito di ogni album punk rock che si rispetti? Nella babele dei generi musicali contemporanei nessuno può vantare un corredo genetico più esplosivo; ma l’eredità dei mostri sacri di entrambe le tradizioni deve finire nelle mani giuste per rinascere sotto forma di un album fulminante. E “Drink It Yourself”, la più recente fatica dei Carry-All, ne è l’esempio perfetto. Eclettico, chiassoso, originale, difficile da classificare, divertentissimo da ascoltare, questo disco è infatti un inno alla filosofia “do it yourself” in ogni sua parte, dalla genesi ai contenuti, passando per l’artwork di copertina. E ci tiene a precisarlo immediatamente, con un’intro che è una vera dichiarazione d’intenti:

A few words to say, I’m not here for money or fame
What you are listening to comes from the heart, not from greed
I’ve been playing for years for my soul, for my ears
I’ve always walked alone and I’m proud of what I’ve done
I do it for myself, for no one else, because my life belongs to me


Ma rendere tanto brillante “Drink It Yourself” è soprattutto una personalissima rielaborazione delle atmosfere degli Anni Ruggenti, che a tratti precipita l’ascoltatore direttamente nel secolo scorso. Si è mai sentita su questo versante delle Alpi - ma pure sull’altro - un’unione tanto efficace e coinvolgente di estetica punk, influenze rock e cori di fiati dal sapore vintage? Trovare una definizione calzante del sound dei Carry-All rasenta l’impossibile, perché ricondurli al ramo punk rock della genealogia musicale moderna equivale a trascurarne il fascino retrò e l’anima blues. Con “Drink It Yourself” questi otto musicisti riescono nell’impresa di gettare un solido ponte fra passato e futuro sul quale è un piacere correre, cantare e ballare mentre si assiste a una rispolverata in grande stile della storia del punk e del jazz. La riuscita dell’esperimento non era così scontata, ma stiamo parlando di una band capace di piazzare canzoni nientemeno che alla Warner Cinema USA; una band in grado di divertire e divertirsi (due prove su tutte, “Denise Was A Liar” e “Rocking Rag”) e di non cedere al nichilismo e al disfattismo nemmeno quando sferra versi caustici contro tutto ciò che non va in questa "Repubblica fondata sulla televisione" attraverso canzoni come “It Doesn’t Matter”, “Distorted Reality” e “Nothing Changes (In Italy)”.

È la dimostrazione che punk non è soltanto il rifiuto di crescere di un Peter Pan munito di chitarra. Punk è anche prendere in mano una penna, un microfono o persino una tromba e cercare di rovesciare il proprio destino. La strada non c’è? Spianala. La casa discografica finanziatrice non esiste? Fondala. Un genere che ti descriva non è ancora stato individuato? Fregatene. Un buon album si riconosce anche dall’impossibilità di venire classificato secondo le categorie esistenti e dalla sua capacità di ricavarsi una nicchia pure in un mercato discografico prossimo al collasso per sovrabbondanza. E “Drink It Yourself”, riuscendo in quest’impresa, ci lascia con la certezza che, qualunque genere i Carry-All suonino, lo facciano maledettamente bene.



01. I Do It For Myself
02. D.I.Y.
03. Denise Was A Liar
04. It Doesn't Matter
05. Distorted Reality
06. Brand New Day
07. Double Malt Happiness
08. What's The Matter With Us?
09. You Rascal You (Fletcher Henderson cover)
10. No Fun In My Hometown
11. Nothing Changes (In Italy)
12. My Own Way
13. Rocking Rag

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