Andrea Faccioli è un artigiano. Per questo esordio come compositore a tutto tondo - dopo un curriculum collaborativo di tutto rispetto – sotto il nome Cabeki, mastro Faccioli ha pensato davvero ad ogni cosa: a comporre, a suonare e a prodursi tutto da solo, utilizzando i più svariati ed esotici strumenti. L’elenco vi viene risparmiato, ma c’è veramente di ogni: dalla chitarra elettrica alla al ghaita - qualsiasi cosa essa sia.
Il risultato è “Una Macchina Celibe”, un meccanismo delirante, inutile e bizzarro – nelle parole del suo costruttore – ma che genera una musica assai piacevole, figlia di un indie minimale e cantautorale che si abbraccia con molta naturalezza al piccolo folk, avvolgendo poi il tutto in fronzoli assai arzigogolati di elettronica mai invadente, vero e proprio simbolo dell’estro del compositore o, se preferite, dell’inventore. Nasce così una colonna sonora luccicante e colorata, che va dal panorama più energicamente rock di “La Diapositiva Si Ricorda” all’acustica desolazione di “Alla Banalità Di Un Valore”, passando nel mezzo tra numerosi sfrigolii di denti di carillon che sono l’ideale per tratteggiare con efficacia il variopinto panorama cromatico desaturato del più brillante Wes Anderson, o il meno gotico e maggiormente festaiolo Tim Burton.
Un prodotto discografico come non se ne sentono spesso in giro, di quelli che, quando vai ad approfondire ciò che si cela sotto la superficie, ti fa venir voglia di andartelo a vedere live l’artista, certo che sarà quasi più interessante osservare l’artigiano all’opera, che non contemplare in solitaria nella propria abitazione il mero prodotto finito. E poco importa se il frutto di tanta fatica, a tratti, si concede forse una dose troppo abbondante di compiacimento sterilmente estetico: la macchina dal meccanismo imperfetto, a volte, è anche la più affascinante.