30 Seconds To Mars
A Beautiful Lie

2007, Virgin
Rock

Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 16/01/13

30 Seconds To Mars, bardati di simbologia astratta e fantastica, tatuati con loghi esoterici e cosparsi di una velatura pacatamente tenebrosa, incarnano un proverbio tanto semplice quanto veritiero, rappresentano ovvero “A Beautiful Lie”: una bellissima bugia, o meglio specificando, ricordano quanto giudicare dall’apparenza sia sbagliato.


Il mio rapporto coi 30 Seconds To Mars è figlio del caso e dell’emozione che suscita “la prima volta”. Incappato casualmente nella rotazione musicale di MTv, quando nel 2006 la musica non era posta in secondo piano dai telefilm e dalle sit-com, alla conclusione del video di “The Kill” sparai la prima sentenza: “Ecco un’altra band emo, dai presupposti chiaramente commerciali, l’ennesima meteora che squarcia un universo musicale già abbastanza disordinato.”. La prima volta che li vidi dal vivo ero giunto quasi casualmente al Parco San Giuliano, a Mestre, in occasione della giornata alternative-punk dell’Heineken Jammin Festival, nel 2010. Dopo Editors e Rise Against, si esibì la band capitanata dai fratelli Leto allo scopo di radunare le folle per l’imminente esibizione dei Green Day, esibizione che non si tenne a causa del violento nubifragio scatenatosi in laguna che disperse le folle in pochi minuti tra panico, rabbia e secchiate d’acqua, e chiuse anticipatamente il secondo giorno del Festival. Dato il forfait dei Green Day causato da forza maggiore, dopo una performance di buon livello spezzata dal meteo avverso i 30 Seconds To Mars assunsero automaticamente e inaspettatamente il ruolo di headliner, ottenendo così la mia curiosità anche grazie all’entrata scenica della band, tra sottofondi gotici e maschere carnevalesche della nobile e antica Venezia, ma non appena il frontman Jared Leto, attore di grande successo che occupa il tempo libero registrando album da milioni di vendite, sollevò la maglietta per far intravedere il fisico scolpito e mandare in delirio le ragazzine ammassate sotto lo stage, l’aura particolare che avvolgeva il palco in quel momento si strappò, come la maglietta di Jared, e a malincuore un vecchio pensiero emerse nella mia mente: avvertii l’impressione di trovarmi di fronte ad una band superficiale, di scarso valore musicale, un altro prodotto commerciale delle etichette discografiche.


La prima volta che acquistai un disco dei 30 Seconds To Mars mi trovavo casualmente in un grande store della mia città. Percorrendo la corsia dei CD, una copertina biancorossa catturò la mia attenzione. Mi avvicinai e notai due adesivi che pubblicizzavano l’album come disco di platino e vincitore del Rock Out Award agli MTv EMA 2007. Avevo in mano “A Beautiful Lie”. In quel momento, realizzando di aver giudicato per anni il valore della band solo attraverso stereotipi e presupposizioni, mi chiesi se il mio scetticismo non fosse in realtà solo una bugia: deciso a sfatare il dilemma, procedetti con l’acquisto.

La prima volta che analizzai con cura l’intero album, esso smantellò ogni mia supposizione: lo ascoltai nel modo che preferisco, tutto d’un fiato, inserendolo nello stereo, alzando il volume e stendendomi sul divano. L’overtoure è di grande impatto sonoro e vocale. Grandi hit di successo quali “Attack”, “A Beautiful Lie” e “The Kill” si susseguono incalzandosi creando l’atmosfera ideale per un sogno, non a caso la quarta traccia è “Whas It A Dream?”, e rappresenta il ponte tra i tre singoli iniziali e il cuore dell’album. Con “The Fantasy” e “Savior”, canzoni apparentemente euforiche si trasformano in riflessive. “From Yesterday” è il brusco risveglio dal sogno, l’urlo nella notte, una tempesta che però si trasforma in quiete con “The Story” e si esaurisce con gli enigmatici brani “R-Evolve” e “A Modern Mith”.


L’album, che contiene anche la traccia nascosta “Hunter” scritta da Björk, è un grande mix di tre grandi generi: neoprogressive, grunge e punk-rock. La missione di unire le tre grandi correnti in un unico bacino è affidata alle notevoli capacità vocali di Jared Leto, un personaggio stravagante, dall’indole singolare e dalle indiscusse doti artistiche. I poliedrici e impeccabili Shannon Leto e Tomo Milicevic, coadiuvati da Matt Wachter, si mettono al servizio del frontman stendendo un tappeto musicale sul quale camminano i pensieri di chi si lascia conquistare dalle melodie dell’album. I testi sono enigmatici e trattano temi classici dell’esistenza umana come la pace, il tradimento, la meditazione. Temi distanti legati tra di loro dall’energia del sound e da espressioni di amore, rabbia, incitamento e autocommiserazione, temi complicati che danno spunti riflessivi a chi vuole perdersi nei meandri della propria mente.


Credo fermamente che quando una band riesce a suscitare un’emozione positiva tramite un album o un live, abbia raggiunto il suo scopo. “A Beautiful Lie” è il piccolo capolavoro dei 30 Seconds, un album che apre la mente a universi sconosciuti, un album suddiviso in capitoli che, come un libro, permette alla nostra immaginazione di viaggiare, di solcare spazi infiniti, elevando in alto i nostri pensieri più profondi. Non a caso  la scritta latina Provehito In Altum, non a caso le simbologie adottate sono Trinity e Triad, non a caso lo stesso controverso nome della band: Jared, Shannon e Tomo hanno creato un album che fa riflettere, pensare, e col quale la presunzione ideale di arrivare a trenta secondi da Marte, aprendo la mente, può trasformarsi in realtà.





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