In The Silence
A Fair Dream Gone Mad

2012, Autoproduzione
Prog Metal

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 16/01/13

Deboli palpiti d'amore, fugaci accessi di rabbia, tenui speranze e triste rassegnazione, brevi gioie e definitivi abbandoni.  È questo il paesaggio in cui vogliono accompagnarci gli In The Silence, incidendo tale grigia mistura di turbamenti fra le note delle otto tracce che costituiscono la scaletta del loro album di debutto.


Gli In The Silence nascono in quel di Sacramento (California) nel 2009, e tre anni è il tempo che impiegano per incidere e produrre, autofinanziandosi, il loro "A Fair Dream Gone Mad". Come la band stessa dichiara, invero con un leggero autocompiacimento (sulla loro pagina ufficiale si legge "making music with emotion and power, that is at once heavy and otherwordly, melodic, beautiful, and haunting"), il disco si inserisce in quel filone di progressive rock/metal molto "post" salito alla ribalta nell'ultimo decennio, caratterizzato dalla messa in secondo piano del grandeur storico di questo genere, fatto di sperimentazioni estreme e sezioni strumentali tecnicissime, per lasciar posto ad atmosfere più riflessive, intimiste.


Adeguatissima allo scopo la voce del leader Josh Burke, che si mantiene sempre morbida, carezzevole, senza mai sporcarsi più di tanto. A incattivire di quando in quando il sound ci pensa il resto della band, che non si tira mai indietro quando occorre picchiare un po' più duro con gli strumenti; ciò che veramente colpisce è come i passaggi dalla quiete a sezioni più pesanti (per quanto di certo non una novità nel genere) risultino naturali, fluidi, mai forzati.


E così un muro di chitarre arriverà dopo appena una quindicina di secondi a spazzare la delicata intro di "Even Closer", forse la traccia più dura del disco, impreziosita da una sezione strumentale discretamente lunga che mostra l'intera band in grande spolvero. Mentre "17 Shades" e "Serenity" seguono le strade dell'opener, pur risultando leggermente meno efficaci, la gemma "Beneath these falling leaves" stupisce rallentando ulteriormente i toni e sviluppandosi su un elegantissimo accompagnamento di violini e di chitarra acustica. Da sottolineare anche "All the Pieces", caratterizzata da riuscitissimi intrecci di voce e chitarra sulle strofe e da un ritornello d'effetto, e la conclusiva "Your Reward", che nel suo incedere quasi doom risulta la traccia più sperimentale dell'intera scaletta.


Qualche difetto, inevitabilmente, c'è: sì, il sound è abbastanza derivativo e risente tantissimo delle influenze di band come Riverside, Porcupine Tree, o gli ultimi Katatonia e le canzoni tendono talvolta ad allungarsi più del voluto ed in alcuni punti a somigliarsi troppo fra loro. Ciononostante, è da ammirare la totale assenza di momenti fuori luogo, o di pezzi fini a se stessi: il disco si ascolta dall'inizio alla fine che è un piacere.


Chissà che con un po' più di varietà ed un po' più di coraggio nell'allontanarsi da soluzioni non più originali da ormai una decina d'anni, non ne sarebbe potuto venire fuori un disco da ricordare veramente per molto tempo. Quel che abbiamo tra le mani rimane comunque un ottimo album d'esordio, ben suonato e ben (auto)prodotto, meritevole di far parte della collezione di ogni appassionato del genere. Promossi.





01. Ever Closer
02. 17 Shades
03. Serenity
04. Beneath these Falling Leaves
05. Close to Me
06. Endless Sea
07. All the Pieces
08. Your Reward

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