Che cos’è l’arte se non una rivisitazione ciclica di se stessa? Esistono molteplici copie della Natività e dell’Annunciazione che pur dipinte da pittori diversi, capaci o meno, rievocano lo stesso avvenimento; così come capita che un regista s’affaccendi per il remake di una pellicola già proiettata nei cinema; o ancora che un autore si prodighi nel tributare omaggi agli avi della letteratura. E il bello non viene sempre dai salotti con centrini e tende inamidate. Il letame concima la terra e fa nascere i fiori, come canta De André. Anche qui ci troviamo di fronte ad un processo di rinnovamento ciclico: certo, poi ci sono germogli che sbocciano in profumati roseti e altri che rimangono malerba, ma l’esempio è pratico per il concetto della derivazione totale della sostanza: tutto nasce da qualcosa che già c’è, che già si è visto o udito. E la musica non esula da questo postulato. Si potrebbero portare a testimonianza numerose band, ma per adesso ce ne basta una: i Finsterforst.
Germanici della Foresta Nera, i nostri paladini del pagan/folk metal (che hanno trovato l’apprezzamento della critica, anche se con riserva, per l’ottimo “…Zum Tode Hin” del 2009) sono sempre stati accusati di aver copiato e incollato senza tanti complimenti melodie e strutture dai grandi maestri del genere: i Moonsorrow. L’accusa, sbrogliando subito dubbi e matasse, è giustificata: bastano infatti pochi ascolti per scoprire che la spada brandita dai Finsterforst è stata già usata in battaglia. Ma sforzandoci a vedere la situazione da un’angolazione diversa si potrebbe affermare che il ferro impugnato è lo stesso, ma la lama è stata riforgiata. Un po’ come Andùril, la Fiamma dell’Ovest, l’arma di Aragorn ricreata dai frammenti di Narsil: derivata ma efficace come l’originale. Così è per i Finsterforst. Non hanno inventato nessuna nuova strategia, ma sanno lo stesso come condurre le truppe alla vittoria finale.
A cavallo dei mesi più freddi dell’anno è uscito "Rastlos", il nuovo lavoro dei teutonici che destreggiandosi tra i soliti e poi non tanto vaghi riferimenti agli Agalloch, ai connazionali Menhir, a Falkenbach (i corni di “Fremd” sono inequivocabili) e ai già tirati in ballo Moonsorrow confezionano un’epopea musicale carica di sentimento e retaggio pagano; un viaggio empatico attraverso sentieri fatti d’ombra e ripidi pendii, dove l’emotività delle chitarre acustiche e della fisarmonica si alternano alla più robusta e fredda controparte metal stillando animosità e allargando i confini dell’ascolto. L’epica, come non potrebbe essere altrimenti, spadroneggia. Il livello medio del disco è alto: l’opener “Nichts als Asche” (di cui è disponibile un video in versione ridotta), “Ein Lichtschein” e la finale e interminabile “Flammenrausch” sono brani ragionati, intensi e di certo non lasciati al caso. Cadenzati, dilatati (in alcuni casi anche troppo) e maliardi come di consuetudine. Ma l’attrazione del disco è “Fremd”. I solenni cori (appannaggio dei Bathory) e la chiusura da pelle d’oca meritano particolare menzione. È l’estratto che più afferra l’ascoltatore in cerca di pathos.
Sette brani per un’ora e un quarto di minutaggio; sono questi i numeri di Rastlos, terzo e riuscito album dei cantastorie della Schwarzwald. Nel nuovo full-length dalla pregevole cover gli appassionati troveranno conferme e carne fresca da mettere sotto i denti, ma anche la certezza che i Finsterforst non si sono mossi di un centimetro dal precedente “…Zum Tode Hin”, che ad oggi rimane il gol più bello della loro carriera.
Germanici della Foresta Nera, i nostri paladini del pagan/folk metal (che hanno trovato l’apprezzamento della critica, anche se con riserva, per l’ottimo “…Zum Tode Hin” del 2009) sono sempre stati accusati di aver copiato e incollato senza tanti complimenti melodie e strutture dai grandi maestri del genere: i Moonsorrow. L’accusa, sbrogliando subito dubbi e matasse, è giustificata: bastano infatti pochi ascolti per scoprire che la spada brandita dai Finsterforst è stata già usata in battaglia. Ma sforzandoci a vedere la situazione da un’angolazione diversa si potrebbe affermare che il ferro impugnato è lo stesso, ma la lama è stata riforgiata. Un po’ come Andùril, la Fiamma dell’Ovest, l’arma di Aragorn ricreata dai frammenti di Narsil: derivata ma efficace come l’originale. Così è per i Finsterforst. Non hanno inventato nessuna nuova strategia, ma sanno lo stesso come condurre le truppe alla vittoria finale.
A cavallo dei mesi più freddi dell’anno è uscito "Rastlos", il nuovo lavoro dei teutonici che destreggiandosi tra i soliti e poi non tanto vaghi riferimenti agli Agalloch, ai connazionali Menhir, a Falkenbach (i corni di “Fremd” sono inequivocabili) e ai già tirati in ballo Moonsorrow confezionano un’epopea musicale carica di sentimento e retaggio pagano; un viaggio empatico attraverso sentieri fatti d’ombra e ripidi pendii, dove l’emotività delle chitarre acustiche e della fisarmonica si alternano alla più robusta e fredda controparte metal stillando animosità e allargando i confini dell’ascolto. L’epica, come non potrebbe essere altrimenti, spadroneggia. Il livello medio del disco è alto: l’opener “Nichts als Asche” (di cui è disponibile un video in versione ridotta), “Ein Lichtschein” e la finale e interminabile “Flammenrausch” sono brani ragionati, intensi e di certo non lasciati al caso. Cadenzati, dilatati (in alcuni casi anche troppo) e maliardi come di consuetudine. Ma l’attrazione del disco è “Fremd”. I solenni cori (appannaggio dei Bathory) e la chiusura da pelle d’oca meritano particolare menzione. È l’estratto che più afferra l’ascoltatore in cerca di pathos.
Sette brani per un’ora e un quarto di minutaggio; sono questi i numeri di Rastlos, terzo e riuscito album dei cantastorie della Schwarzwald. Nel nuovo full-length dalla pregevole cover gli appassionati troveranno conferme e carne fresca da mettere sotto i denti, ma anche la certezza che i Finsterforst non si sono mossi di un centimetro dal precedente “…Zum Tode Hin”, che ad oggi rimane il gol più bello della loro carriera.