Giant X
I

2013, SPV
Hard Rock

Recensione di Mia Frabetti - Pubblicata in data: 19/01/13

La crisi è come la fortuna: completamente cieca. E, come se ciò non bastasse, persino sorda – o quantomeno dotata di discutibili gusti musicali, a giudicare da alcuni degli artisti che porta immeritatamente in palmo di mano. Ci sono, ovviamente, eccezioni che confermano la regola: i Running Wild, ad esempio, la band di pirate metal di Rock’n’Rolf Kasparek, sopravvissuta dal 1979 sino ai giorni nostri attraverso un’intricata storia di cambiamenti di line-up, fisiologiche flessioni di popolarità, uno scioglimento e una reunion. Cosa li eleva al rango di eccezione? Semplice: il fatto che, nel loro caso, la crisi ci veda e ci senta benissimo. Il respiro affannoso di un gruppo che non ha più nulla da dire, d’altronde, è talmente fragoroso da non rendere nemmeno necessario munirsi di stetoscopio per auscultare il suo ultimo disco, “Shadowmaker”; è sufficiente l’ausilio di un paio di cuffie per avvertire in modo dolorosamente chiaro gli scricchiolii della carena di un vascello pirata che un tempo non temeva rivali sui mari e oggi giace abbandonato in mezzo all’oceano, il sartiame squarciato. Non è tipo da abbandonare la nave che sta affondando, il nostro Capitano Kasparek, tant’è che non ha ancora ordinato la rimozione del rudere dalla rada nella quale si è incagliato; ma è anche abbastanza smaliziato da saltare a piedi pari a bordo di una scialuppa di salvataggio quando la situazione sembra farsi troppo critica, magari portando con sé qualche compagno d’avventura. Stavolta è toccato a Peter J. Jordan, già chitarrista dei Running Wild e oggi anche cofondatore del nuovo progetto Giant X, il cui album di debutto (“I”) altro non è che un dettagliato piano per la conquista di nuove isole di pubblico. Obbiettivo: ricondurre all’ovile i fan delusi, regalare un diversivo alla ciurma di fedelissimi del Capitano (ormai piuttosto esigua, in verità) e raccogliere strada facendo anche qualche nostalgico amante del rock anni ’70 e ’80. Armamenti: dodici tracce più un breve quanto trascurabile intro che attingono a man bassa da tutti i cliché del rock’n’roll e dell’heavy metal. Risultato: un disco più ispirato di “Shadowmaker”, ma appetibile soltanto per i fan meno pretenziosi del genere.

Infatti, se le sonorità sono hard – ma neppure troppo – i temi sono decisamente light, e pur non mancando all’appello né cavalcate metal (“On A Blind Flight”, “Soul Survivors”) né concitati riff di chitarra (“Now Or Never”), “I” offre anche una serie di chiassosi e onesti party anthems che padroneggiano l’arte degli hooks con abilità tale da fare dell’ascoltatore il più felice pesce all’amo della storia. Non abboccare al groove della festaiola “The Count” è un’impresa ardua; abbandonarsi al ritornello di “Don’t Quit Till Tomorrow” (“Raise your hands for rock’n’roll”) un vero piacere, seppur colpevole. Non mancano i filler, ovviamente, e qua e là si inciampa in una del tutto superflua “Go 4 It” o in una “Rough Tide” la cui credibilità e le cui allusioni (“We keep the motor running, if you know what I mean”) sono seriamente compromesse dalla non più giovane età del consumato filibustiere Kasparek; ma basta un poco di blues e la pillola va giù, specie se allungata anche da generose dosi di melodia. “Badland Blues” e “Nameless Heroes”, sicuramente i brani più atipici del repertorio di Rock'n'Rolf, non bastano però a convincerci della sua presunta versatilità vocale, rispetto alla quale rimaniamo ancora piuttosto scettici – vuoi per le infiltrazioni di suoni à la Running Wild che vanificano ogni sforzo di differenziare il sound dei Giant X da quello della band madre, vuoi per l’interpretazione a tratti troppo stereotipata della Sacra Triade “Sesso, droga & rock’n’roll”.

Certo, talvolta “I” suona come un compendio talmente accurato di tutti i cliché legati al buon vecchio rock’n’roll anni ’80 da farci quasi tossire a causa dei fumi di lacca per capelli che sembrano sprizzare fuori dalle casse del nostro stereo; ma nemmeno l’intossicazione da hair spray basta a farci dimenticare – foss’anche solo per un secondo – chi ci troviamo di fronte: non i Kiss, non i Thin Lizzy, non gli Scorpions, ma soltanto i Giant X.





01. The Rise Of The Giant X (Intro)
02. On A Blind Flight
03. Don’t Quit Till Tomorrow
04. Badland Blues
05. Now Or Never
06. Nameless Heroes
07. Go 4 It
08. The Count
09. Rough Ride
10. Friendly Fire
11. Let’s Dance
12. Soulsurvivors
13. R.O.C.K.

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