Snakecharmer
Snakecharmer

2013, Frontiers Records
Blues Rock

Recensione di Mia Frabetti - Pubblicata in data: 26/01/13

Q: What did you think of the R&B and rock’n’roll revolutions?
A: I didn't pay any attention to it. I thought it was just like “urban blues”. It was just more white people doing blues that used different progressions. I called it “re-importing the blues from Europe, back in the USA”. They sang a lot of the same things we did, using the same identical progressions we did and they called it “rock’n’roll”. Elvis was doing Big Boy Crudup's tunes and they were calling that rock’n’roll. And I thought it was a way of saying he's not black.

(da un’intervista a B. B. King)

Jimi Hendrix è stato ucciso dalla CIA? Jim Morrison è ancora su questo pianeta, intento a godersi la vita su un atollo tropicale a nostra insaputa? Kurt Cobain aveva davvero intenzione di piantarsi un proiettile nel cervello? E Paul McCartney sarà sul serio colui che dice di essere? Non ci sono dubbi che agli occhi di un appassionato di dietrologia la storia della musica pop debba apparire come una scintillante miniera d’oro; quel che è curioso, però, è che fra tanti appassionati di teorie del complotto ben pochi si siano dedicati all’approfondimento della vicenda più affascinante e controversa in assoluto: la nascita del rock’n’roll. Non che qualcuno nutra davvero perplessità sull’indiscutibile fatto che Hendrix, Clapton, Page, Richards e Beck non sarebbero diventati ciò che sono diventati – i cinque migliori chitarristi di tutti i tempi, almeno secondo Rolling Stone Italia – senza la lezione impartita loro dai grandi bluesmen della prima metà del secolo scorso, da B.B. King a Chuck Berry, fino a T-Bone Walker e Howlin’ Wolf; ma il dibattito attorno alla rivoluzione del rock’n’roll, vera o presunta, non ha mai voluto accordare all’unanimità alla prestigiosa scuola blues il riconoscimento che merita per avere ispirato la futura classe dirigente del rock’n’roll, cui molti continuano ad attribuire la geniale invenzione di un genere che, invece, è vecchio quanto il blues che è vecchio quanto il mondo. Led Zeppelin, Rolling Stones, Deep Purple, Black Sabbath, Yardbirds, Cream, Fleetwood Mac… Persino i soli studenti della filiale inglese dell’istituto che ha influenzato tutta la popular music contemporanea sono troppi per elencarli tutti – ma d’altronde a noi, in questa sede, basta ricordarne sei: Moody, Murray, Wisefield, James, Wakeman, Ousey. In una parola, gli Snakecharmer.

La definizione di supergruppo calza senza dubbio un po’ larga a questa stagionata formazione britannica, nuovo progetto di vecchie glorie, che infatti strada facendo ha saggiamente deciso di sbarazzarsi del primo e altisonante nome di Monsters Of British Rock. Troppo serrata la competizione per il titolo? Sicuramente. Tuttavia bisogna anche riconoscere che, pur non avendo scritto di proprio pugno nessun capitolo fondamentale della storia della musica, i membri di questo sestetto hanno comunque fatto la loro comparsa in paragrafi di tutto rispetto (dai Whitesnake alla Brian May Band, passando per Ozzy Osbourne, Thunder e Wishbone Ash), con la sola dolente eccezione del cantante Chris Ousey, finora relegato a uno striminzito trafiletto sotto la voce Heartland. Ma il nostro non si allarmi, perché la sua permanenza nella periferia del mercato discografico ha i giorni contati grazie a un prodigioso biglietto di sola andata verso il cuore pulsante della scena musicale inglese: la sua voce. Mature e stagionate al punto giusto, le sue accurate linee vocali sono infatti in grado di trasformare tutto ciò che toccano in una melodia dolcemente familiare sin dal primo ascolto, e costituiscono la vera rivelazione di questo album – una sorpresa in grado di distrarci persino dal dialogo fra la chitarra slide di Micky Moody e il basso di Neil Murray, che pure è fittissimo, implacabile e altrettanto delizioso.

Scontato, dunque, il risultato di un’accoppiata del genere, ma non per questo meno godibile: e infatti “Snakecharmer” è un album incantevole che oscilla fra brillanti momenti di rock blueseggiante (“Turn of the Screw”, “Smoking Gun”) e rilassati attimi di blues rockeggiante (“To The Rescue”, “A Little Rock’N’Roll”), per un totale di undici tracce che, lungi dall’esaurirsi in breve tempo, sembrano migliorare di ascolto in ascolto. Tra assolo sinuosi e disinvolti, atmosfere old school, sospiri di tastiere e nemmeno un banale filler “Snakecharmer” ci riporta con grazia agli anni d’oro del rock’n’roll, epoca di innocenza in cui l’arte non era ancora asservita ai passaggi in radio, riuscendo a farla rimpiangere anche a quanti tra noi non l’hanno vissuta in prima persona. Perciò pazienza se, a volte, il nostro sestetto suona un po’ troppo compassato e quella copertina con un jack ritto come un serpente pronto a sputare veleno non ne rappresenta in modo sempre fedele il sound melodico e nient’affatto minaccioso: “Snakecharmer” rimane comunque un’opera di classe e una portentosa macchina del tempo che, con la sua eleganza e il suo fascino retrò, ci illude dolcemente di essere stati proprio mentre i Beatles implodevano, i Rolling Stones consumavano montagne di droga e di donne, il dirigibile dei Led Zeppelin si affacciava sui cieli fumosi sopra Londra e il blues - come ogni padre, no? - insegnava al rock’n’roll tutto ciò che c’era da sapere per far gemere, strillare, arrabbiare e singhiozzare sei corde e un manico di legno.



01. My Angel
02. Accident Prone
03. To The Rescue
04. Falling Leaves
05. A Little Rock & Roll
06. Turn Of The Screw
07. Smoking Gun
08. Stand Up
09. Guilty As Charged
10. Nothing To Lose
11. Cover Me In You

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