Coheed And Cambria
The Afterman: Descension

2013, Columbia Records
Prog Rock

Una band capace di inventarsi un linguaggio nuovo, alla faccia di chi vuole il rock progressivo fermo ai Gentle Giant
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 03/02/13

Che il rock progressivo sia fermo agli anni ‘70 è uno dei più grandi luoghi comuni di sempre, al pari di quelli che vogliono morto questo o quel genere. Nell’immaginario collettivo le icone degli anni ’70 convivono con quei gruppi coraggiosi che a cavallo dei nineties hanno tentato di ridare nuova linfa al genere, dopodichè il diluvio. In verità l’eredità passata alle nuove generazioni non è andata affatto perduta, anzi, il discorso per certi versi si è allargato con band quali Periphery, Riverside, Between The Buried And Me e molte altre. Chiaro che dai Genesis a queste band passa un mondo e potremmo discutere in eterno sul concetto di progressive rock; quello che è rimasto immutato è la volontà di allargare i confini, abbattere steccati, mischiare generi ed emozioni di natura diversa. Dovessimo spendere il nome di una band che possa risvegliare l’entusiasmo di chi è legato ancora a un certo modo di fare musica, sarebbe senza dubbio quello dei Coheed And Cambria. Attivo già da una decina di anni, il quartetto newyorkese è oggi il testimonial più credibile della convivenza fra tradizione e modernità.
 
The Afterman: Descension” esce a quattro mesi di distanza dal suo predecessore, di cui rappresenta la continuazione a livello concettuale e con cui condivide un titolo speculare. L’utilizzo del concept in ogni loro disco è l’unico punto di contatto con il passato, ma a parte questo ogni possibile descrizione dei Coheed And Cambria lascia il tempo che trova; quella dei newyorkesi è formula che cambia continuamente forma, in cui sotto le mentite spoglie di brani brevi e immediati trovano vita passaggi strumentali di grande ricercatezza. Uno stile che produce anthem interessanti come “The Hard Sell”, dove ai più attenti non sfuggirà l’ingresso prepotente di un solo uscito dritto dalle mani di Steve Lukather, oppure della potente opener “Sentry The Defiant”. Il coraggioso synth pop di “Number City” può sembrare imbarazzante sulle prime battute, salvo poi diventare semplicemente irresistibile nella sua unicità. “Gravity’s Union” è una solenne melodia dove la fanno da padrone gli arpeggi clean e la splendida voce di Claudio Sanchez, mastermind di una band capace di calare la carta vincente quando meno te l’aspetti, alla maniera del giocatore più spregiudicato: il pugno di ferro di “Iron Fist” è in verità un guanto di velluto cucito su un arpeggio di chitarra classica che rimanda a certi pastorali di scuola seventies. Quello dei Coheed And Cambria è un pastiche che assume un sapore un po’ stucchevole solo in “The Dark Side Of Me”, ma che denota in ogni caso la grande abilità di un gruppo capace di assimilare influenze tanto eterogenee in uno stile credibile e organico.
 
Per una maggiore equità dovremmo dare un giudizio definitivo con l'ascolto della prima parte dell'opera, anche se a noi questo “Descension” basta e avanza, e poco importa che ai più tradizionalisti possano non piacere le linee vocali tipicamente americane o le chitarre in drop. “Descension” non sarà il disco del millennio ma rappresenta a suo modo uno spartiacque. “Descension” non piacerà a tutti proprio per le sue molteplici sfaccettature, ma rappresenta la preziosa testimonianza di una band capace di inventarsi un linguaggio del tutto nuovo, alla faccia di chi vuole il rock progressivo fermo ai Gentle Giant.




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