My Bloody Valentine
m b v

2013, Autoproduzione
Shoegaze

Avanguardia demodé
Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 08/02/13

Il mito che ora avvolge i My Bloody Valentine tanto nasceva con i loro due capolavori, quanto è poi cresciuto col silenzio che seguì alla loro pubblicazione. "It Isn't Anthing" e "Loveless" furono i capostipiti di una musica che era, prima di tutto, sperimentale, i cui riverberi sono poi giunti in aree anche molto più "pop". L'anima di Kevin Shields, però, era pioneristica: lo era nell'uso sonoro degli strumenti e nell'effetto che ricercava sull'ascoltatore. La forte personalità della sua opera la ritroviamo, fedelissima, su questo nuovo e attessissimo album: "m b v". My Bloody Valentine significa avanguardia ancora oggi; un'avanguardia prodotta, però, con lo stesso suono coniato un ventennio fa e con gli stessi concetti di fondo. Niente che possa esser preso alla leggera, comunque.

"m b v" è un disco intriso di melodie evanescenti e d'effettistiche psichedeliche che l'orecchio tosto riconduce al 1991; e così capiamo subito una cosa: che a Shields non interessava suonare come una band odierna, gli interessava piuttosto sviluppare se stesso. Il risultato è un album che in parte è diretta emanazione dell'epoca di "Loveless": espanso, catartico, soffusamente psichedelico, ma mai fracassone. Le nove canzoni seguono una trina suddivisione che mi piacerebbe riprodurre nell'interpretazione che segue.

 

La triade shoegaze

 

Le prime tre canzoni faranno la felicità di tutti i nostalgici del suono della chitarra valentiniana. "She Found Now" è quasi una "Sometimes part II": le è simile quella densa costanza del muro chitarristico, l'assenza delle percussioni; purtroppo è assai meno memorabile la linea melodica, che qui è quasi pura atmosfera. Con questo discreto episodio viene ribadita ancora una volta l'intuizione del "quieto rumore", che del resto è un'invenzione di loro proprietà. Seguono i due pezzi più compiutamente evolutivi della forma-canzone valentiniana. "Only Tomorrow" affina il gusto per le eleboratissime progressioni d'accordi in svariati cambi di tono, eseguiti, però, con una ritmica robotica e regolarissima. Ascolto dopo ascolto tutta questa complessità si delinea nel cervello ed emerge nella sua ricchezza di dettaglio. A dispetto della sconcezza di quella distorsione sfrigolante la composizione ha un rigore perfino accademico, che si protrae in più di sei, onirici minuti. Ma è "Who Sees You" il vertice più propriamente shoegaze dell'album, nonchè la gemma di tutto "m b b". Un brano che riesce ad apparire retrò senza di fatto copiare niente da nessuno. Il suono, però, lo conosciamo bene: è una chitarrona, anzi parecchie chitarrone sovraincise come il ronzio di mille alveari, quel suono che ha fatto la gloria della band. In questo pezzo la piatta ripetitività delle percussioni e la nebbiosa vocalità fatta di soffi e sussurri sono trainate da un vero bolide elettrico che, anche qui, viaggia su note che solo i My Bloody Valentine sanno mettere insieme. A guidare quest'ascensione è l'effetto, quasi da violino distorto, che Kevin dà alla sua chitarra vibrante, un "assolo alieno" tanto oggi come poteva esserlo anche ieri.

 

La triade dream pop

 

Probabilmente meno interessante delle tre è questa parte centrale caratterizzata dalla voce femminile di Bilinda Butcher: ci si culla con leggerezza, semplicità. Ma anche con molte meno pretese. Questo pop carezzevole risente un po' delle sonorità melodiche di una "To Here Knows When" o di una "Blown A Wish", ma è privo della gran parte dell'ingegneria sonora in cui i Nostri sono veri maestri. Si ascolticchia volentieri una "New You", a patto di essere in buoni rapporti con la nostalgia e di saltarne l'ultimo minuto e mezzo, identico al resto della canzone.

 

La triade avantgarde

 

Togliendo la velleitaria "Nothing Is" (vero e proprio disco rotto che gira per tre minuti e passa) quest'ultima parte regala i My Bloody Valentine "più nuovi" rispetto all'esperienza di vent'anni fa. Kevin Shields decide però di operare con gli strumenti di un tempo, non c'è l'influsso della tecnologia del 2000. Il risultato è anche in questo caso molto curioso: è come se questa musica futurista fosse il frutto d'un ritrovamento archeologico. "In Another Way" si divide in una "strofa" di canto femminile dalla melodia originale, ma non del tutto convincente, e in una sorta di motivetto in tastiera dall'aria vagamente solenne, quasi l'inno nazionale di qualche popolazione aliena. Decisamente spiazzante, infine, la ricerca di "Wonder 2", un vero colpo sperimentale. Colpo di genio o botta di delirio? E' difficile dirlo. L'idea sembra quella di creare una sinfonia atonale di feedback e di effetti flanger sovrapposti, che danno tutta l'impressione del decollo di un aereo. La linea vocale è come sepolta da una bufera, le ritmiche quasi un tintinnio lontano. Questa composizione, qualsiasi cosa sia, potrebbe sembrare l'estremizzazione della psichedelia: la ricerca dell'effetto fisico sull'ascoltatore, privo del logos della forma musicale. Una sorta di quadro astratto di fronte al quale molti si domanderanno cosa rappresenta, inutilmente.


Conclusioni

 

Dall'analisi pezzo per pezzo di questo album atteso da più di vent'anni emerge una considerazione essenziale: che dietro a un disco che ha tutta l'aria d'esser nato vecchio si cela, comunque, una certa quantità di ricerca e di valore da assaporare con moltissima calma e pazienza (oltre che a tutto volume). Non c'è nessun miracolo in queste nove canzoni; ma dare seguito ad una tradizione un tempo così innovativa e influente non era facile, e i My Bloody Valentine in qualche modo ce l'hanno fatta.





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