Villagers
{Awayland}

2013, Domino Records
Indie Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 14/02/13

Non si può certo dire che ai Villagers siano mancati riconoscimenti per il loro ottimo esordio, tra il raggiungimento della vetta nella classifica della propria nazione, la nomination al Mercury Prize, i tour a fare da spalla a band già navigate come i Grizzly Bear. E a tre anni dalla pubblicazione di “Becoming a Jackal”, ecco arrivare “{Awayland}”, atteso secondo lavoro della band irlandese.

Lungi dal riproporre immutato il collaudato e vincente chamber-pop dell’esordio, il leader e compositore Conor O’Brien riversa nella sua nuova fatica tutta una serie di inedite contaminazioni. Tuttavia, pur essendo l’idea di differenziare il sound inserendo una gran quantità di nuovi elementi senz’altro lodevole e coraggiosa, i risultati cui perviene non sono sempre fortunatissimi. Se infatti sono azzeccate le chitarre e i cori dal sapore western di “The Bell”, o il sound alla Arcade Fire di “The Suburbs” del singolo “Nothing Arrived”, suscitano più d’una perplessità i parecchi inserti elettronici disseminati qua e là nell’album, o i troppo forzati tentativi di trascinare alcuni pezzi verso un gran finale pomposo e cinematografico. Sono queste le principali pecche che rendono confuse e pasticciate canzoni come “Grateful Song”, verso la metà della quale compaiono incomprensibili effetti sulle vocals e un sottofondo di synth per nulla amalgamato al resto degli strumenti, o “The Waves”, guidata da una tastiera inquieta fino a una cacofonia finale di martellanti chitarre distorte e vocals che ripetono lo stesso verso più e più volte, in modo fin troppo ossessivo.

Non a caso “{Awayland}” dà il meglio di sé quando il songwriting si fa più semplice, alleggerito di una sovrastruttura di inessenziali orpelli. Emozionano, e parecchio, le rarefatte atmosfere dell’opener “My Lighthouse” o della splendida title-track strumentale, un aggraziato intreccio tra soavi violini e leggeri arpeggi di chitarra acustica. Sono degni di menzione anche pezzi più diretti e groovy come “Earthly Pleasure” o “Passing a Message”, che costituiscono pure ottimi esempi dell’innegabile estro di O’Brien nella scrittura delle lyrics. I testi costituiscono, infatti, uno dei maggiori punti di forza della band, mai banali e estremamente vari, talvolta profondi e toccanti, talvolta ai limiti del delirante.

Conor O’Brien mostra ancora una volta di avere personalità e talento, ma pecca un po’ di misura in fase di composizione: questa mancanza rende il suo nuovo parto fortemente disomogeneo, con parecchi pezzi di qualità davvero buona, alternati ad altrettanti del tutto dimenticabili. Rimane comunque un ascolto piacevole, capace di regalare non pochi sussulti e che fa guardare con ottimismo alla carriera futura della giovane band proveniente dall’isola di smeraldo.



01. My Lighthouse
02. Earthly Pleasure
03. The Waves
04. Judgement Call
05. Nothing Arrived
06. The Bell
07. Awayland
08. Passing A Message
09. Grateful Song
10. In A Newfound Land You Are Free
11. Rhythm Composer

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool