Mauro Gambardella non ci sta a rimanere confinato nel ruolo di batterista di numerose band dell’indie/garage rock del bergamasco e del bresciano. Staccandosi da tutto e da tutti, acquisendo da ognuno il carico di esperienza dovuto, il Nostro esordisce, sotto il nome di Gambardellas, come solista a tutto tondo, proponendo pezzi scritti di proprio pugno e ponendo all’attenzione le sue doti di polistrumentista e vocalist.
Orbene, è certamente interessante come si apre questo “Sloppy Sounds”, visto che su “Flash” ti pare di sentire Rob Zombie guest star del tour dei Beach Boys (!), ed in generale tutta questa attitudine ‘60s nelle tastiere è certamente un forte punto a favore di un disco che – ahinoi – tradisce sin troppo presto la sua forte fascinazione – per usare un eufemismo – per il mainstream rock USA dei ‘90s e ‘00s, rock col quale evidentemente il nostro buon Gambardella, classe 1983, è cresciuto. Quindi, ecco che “Smile” suona troppo Lenny Kravitz, l’urlo di Page di “Immigrant Song” piegato alla struttura funky di “Freeway” ci restituisce un pezzo di pura derivazione, visto che ai Led Zeppelin non fanno altro che subentrare i Red Hot Chili Peppers, e via discorrendo, in un fiume di citazioni.
Si scorgono delle capacità, questo è fuori dubbio: basta anche solo ascoltare i cambi di prospettiva di una “Shine Again”. Pur tuttavia, al termine dell’ascolto di questo esordio viene quasi istintivo chiedersi come si possa preferire il Gambardellas agli originali – mastodontici – menzionati in sede di questa recensione. E forse, il più grande difetto di tutta quest’opera sta proprio nel fatto che, alla domanda di cui sopra, non giunge alcuna risposta, se non il silenzio.