È indiscutibile che l’aria del Canada sia un ottimo toccasana per tutti i giovani infettati dal germe del Rock and roll. Probabilmente lo spirito liberale e l’apertura mentale (e culturale) di una nazione vicina di casa degli USA, riesce a influenzare positivamente la gente, facendone persone di ampie vedute e con una sensibilità sociale superiore (purtroppo) alla media mondiale. Non a caso, la nemesi statunitense ha visto nascere movimenti umanitari, scrittori politicamente critici e registi fuori dagli schemi.
Tra questa cricca di giganti mi viene facile trovare un posticino per un manipolo di punk che, negli anni ottanta, ha reso possibile, facendo da olio per il motore, la nascita e l’accrescimento del movimento hardcore, tra tutti i redivivi D.O.A.. I Cancer Bats, pur traendo le loro radici da questo DNA, si mostrano musicalmente molto influenzati dai vicini di casa americani, avvicinandosi a un southern metal di chiara matrice Down, proponendone una riuscita fusione con l’hardcore new school. Convivono anime differenti, il combo si muove molto bene tra chitarre polverose alla Pepper Keenan e assalti sludge metal alla Crowbar, pur non snaturando la loro indole punk. Rimane negli annali delle migliori cose fatte dai Cancer Bats “Dead wrong”, brano che inquadra bene le potenzialità del gruppo, una bella badilata di metal core al fulmicotone e atrio per un tris di canzoni sature di riff malevoli, che riportano agli Obituary come al death‘n’ roll dei nordici Entombed (“We Are The Undead”, “Doomed To Fail”). “Make Amends” è la canzone che meglio mette in risalto le doti canore di Liam, tempeste ritmiche che ricordano i migliori Stuck Mojo (filtrati dagli anacronistici inserti rap), mentre “Fake Gold” ci riporta tra velocità, cori e intricate matasse chitarristiche taglienti quanto un rasoio arrugginito.Danno l’impressione di avvicinarsi a una mutazione sonora interessante, che piace, l’embrione "Bears, Mayors, Scraps & Bones" centra il bersaglio dando dei margini di manovra interessanti per il loro futuro professionale.
Un disco per tutte le stagioni, vien da dire, che probabilmente rimarrà nella playlist dei fan per molto tempo, forse un po’ meno in quella degli altri, ma poco importa.
Ci sarebbe da menzionare la cover finale del classico anni novanta dei Beastie boys “Sabotage” con video annesso, tra l’altro stravagante sunto di clip del trio proveniente da Brooklyn, ma forse è meglio soprassedere, mezzo punto in meno senza possibilità di scuse.