My Shameful
The Return to Nothing

2006, Firebox Records
Doom

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 29/03/09

Nuovo capitolo per Sami Rautio e per i suoi My Shameful, diventati per l'occasione una vera e propria band di quattro elementi. A due anni di distanza da ...of Dust i finlandesi ritornano con la solita lenta marcia funeral doom, il tutto secondo una ricetta ben collaudata ma che anche questa volta, a mio avviso, non riesce a "far male" a dovere.

I canoni del genere sono tutti rispettati, ritmi ovviamente dilatati e rarefatti, chitarre profonde, marziali e soffocanti, alternanza tra growl e voce sussurrata, classici richiami ai My Dying Bride, minutaggio del lavoro corposo, batteria minimale, ecc... tutto secondo la migliore tradizione doom. Però The Return to Nothing non lavora ai fianchi l'ascoltatore, non graffia, non atterrisce, non ti blocca sulla poltrona con aperture raggelanti e inimmaginabili, tutto scorre via sin troppo leggermente, senza sussulti. A ben vedere la musica dei My Shameful è tutt'altro che rasserenante, ma per disturbare seriamente il sistema nervoso di chi si accinge ad ascoltare questa musica serve ben altro, servono maggiori idee, maggiori variazioni, più feeling e più atmosfere strazianti.

La ripetitività è un prezzo che qualunque amante del doom più esasperato è ben felice di dover pagare, sapendo che prima o poi arriverà il passaggio chiave del brano, dove tutto quello che si è ascoltato acquisisce un senso ben preciso, e dove la monotonia di interminabili minuti diventa essenziale e vitale. A mio avviso in The Return to Nothing il momento chiave non arriva mai, si assiste al lento svolgimento del disco in perenne attesa (puntualmente inevasa) di qualcosa che riesca a dare maggiore spessore al brano. Invece sin dall'opener This Same Grey Light si intuisce che il vortice oscuro del funeral doom viene solo esplorato in superficie, ci viene mostrata la soglia senza accompagnarci dove l'aria diventa realmente malsana e irrespirabile.

Non un disco da buttare via sia chiaro, le conclusive Silent e Just One (Return è solo una breve outro) risollevano le sorti di un lavoro fin troppo semplice, schematizzato e lineare. Un disco che gioca su livelli di estremismo troppo poco esasperati per i miei gusti, a partire dalla produzione, fin troppo pulita a discapito della necessaria profondità del suono, e dai vocalizzi Rautio, che spaventerebbero solo i neofiti del genere. Sicuramente i meno intransigenti troveranno un disco più che dignitoso, ma per quanto mi riguarda poco incisivo. Lontanissimo dalla pura desolazione dei compagni di label Tyranny, dalla "calma" disturbante degli Until Death Overtakes Me, dalla classe degli ultimi Doom:Vs, ecc... Mi fermo qui, ma la lista potrebbe continuare per diverse righe...



1. This Same Grey Light

2. Days Grow Darker

3. No Dawn

4. The Return To Nothing

5. It Can't Get Worse

6. Silent

7. Just One

8. Return

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool