I Love You But I've Chosen Darkness
Fear Is On Our Side

2006, Secretly Canadian
Post Rock

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 27/06/10

Amanti nostalgici dei Joy Division e dei Cure più disperati, fedeli alla dark wave dei tempi d’oro, volete un nome interessante per riaprire le vostre ferite doloranti? Ascoltate i texani I Love But I’ve Chosen Darkness e come per magia il vostro universo dark si arricchirà di una nuova stella buia e cupa. Il loro debutto datato 2006, “Fear Is On Our Side”, è un discone coi controfiocchi, una piacevolissima sorpresa.

I texani fondono perfettamente un’attitudine indie con il dark più intransigente, muovendosi sempre su un tappeto emozionale di ottima fattura. La loro musica si basa molto sulla voce profonda (e talvolta effettata) del cantante, sul binomio basso-batteria iperpresente e pulsante come da tempo non si sentiva e su chitarre spesso e volentieri in distorsione, che disegnano melodie ondivaghe che si incuneano nel cuore e rimangono impresse. Si aggiunga al tutto anche una prepotente matrice post rock, realizzata attraverso crescendi mozzafiato che culminano in esplosioni elettriche che rilasciano tutta la tensione e la desolazione accumulate con il procedere delle canzoni.

Difficile scegliere tra le dodici tracce presenti quelle migliori, sono tutte tremendamente affascinati e suggestive, tutte malate di un romanticismo malsano e distruttivo, tutte quante minimali e marziali (come vuola la scuola Joy Division) e soprattutto concise come la copertina, un cuore blu su sfondo nero squarciato da una croce rovesciata. Facendo un veloce track-by-track, si rimane subito folgorati dall’apertura “The Ghost”. La traccia sale piano piano, accumula pathos, le chitarre si fanno via via più presenti, basso e batteria iniziano a costruire intorno a te muri di mattoni pesanti come macigni. Al ritornello il tutto esplode (“I think about how I miss you”), lo sfondo melodico emo è forte così come il dark ottantiano, e la canzone si avvia così verso la fine, in un turbine elettrico avvolgente e stupefacente. Estasiante. La successiva “According To Plan” si muove sulle stesse coordinate della precedente, accentuando, laddove possibile, l’aspetto gelido e marziale della sezione ritmica e condendo il tutto con una tappeto tastieristico d’atmosfera; in questa inoltre non si disdegna anche qualche apertura più solare, che subito però piomba di nuovo del buio. “Lights” invece mi ricorda molto da vicino Interpol ed Editors (non a caso anche queste band che molto devono alla lezione dei Joy Division): poco da aggiungere a quanto detto, mi lascia un po’ meno delle precedenti in termini emotivi, ma d’altra parte dopo un inizio del genere una leggera caduta di tono (ma proprio impercettibile) ci può pure stare. Tralasciando l’atmosferica e strumentale “The Owl” si arriva a “We Choose Faces” (di cui la precedente “Today” ne è l’intro). La canzone è imperniata tutta sul crescendo post rock di batteria-basso-chitarra, che sviluppano le loro linee dall’iniziale solo atmosferico di tastiera e sfociano sul finale in un muro elettrico che si dissolve nel nulla così come si era creato. Si risale di tono con “Last Ride Together”, di struttura simile alla precedente (quindi costruito su un climax strumentale) ma a mio avviso più convincente. Saltando la successiva “At Last Is All”, che nulla aggiunge al lotto, si giunge alla prima vera ed unica ballata dell’album, “Long Walk”. La canzone striscia per tutti i suoi quattro minuti e venti su una chitarra in perenne delay, che le conferisce un non so che di gelido e spettrale, una sospensione in attesa di una tempesta. La bufera è in effetti alle porte, ne scorgiamo ulteriori presagi con la title track. Ormai la struttura post rock è la più presente, la tensione che si accumula è tanta e non può che sfociare nella splendida e conclusiva “If It Was Me”. La canzone è una lunga ed epica cavalcata, incentrata su una chitarra che traccia inquietanti arpeggi e di nuovo basso e batteria che viaggiano a braccetto costruendo un’intelaiatura magnifica. Il tutto collassa più o meno alla metà dell’opera: un insistente arpeggio di chitarra matura con l’intensità della batteria, il tutto poi si blocca e l’attacco successivo a tre è da paura, coinvolgente. Chitarre sempre più distorte e tastiere che delirano sempre più presenti ci conducono per mano verso la fine di questa canzone e la fine di tutto l’album.

Alla fine del disco ci si rende conto di aver attraversato un lungo e psicopatico viaggio attraverso un largo spettro di emozioni, che vanno dalla paura alla disperazione, dalla malinconia al freddo della solitudine. Eppure questo viaggio è stata una vera esperienza, e sono sicuro che, ascoltando il disco e rimanendo impantanati nelle sue labirintiche digressioni, non potrete che essere d’accordo con me.





01. The Ghost
02. According To Plan
03. Lights
04. The Owl
05. Today
06. We Choose Faces
07. Last Ride Together
08. At Last Is All
09. Long Walk
10. Fear Is On Our Side
11. Untitled
12. If It Was Me

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool