The Gathering
Nighttime Birds

1997, Century Media
Gothic

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 11/07/10

Degno successore del (giustamente) osannato “Mandylion”, questo “Nighttime Birds” ne amplia le strutture, aggiungendo ad una cupezza a tratti vicina ad un certo doom metal linee melodiche molto più ariose ed eteree, fortemente debitrici nei confronti della psichedelia anni Settanta (già vagamente percepite nelle precedenti opere dei Nostri).

Con questo disco i The Gathering non raggiungono lo spessore di “Mandylion”, il quale a suo tempo sorprese il pubblico portando una bella ventata d'aria fresca, ma concepiscono un'opera che si piazza ben poco al di sotto del suddetto disco, facendosi apprezzare piano piano e trascinando con sé, ad ogni ascolto, leggere spruzzate di neve (rievocate dalla magistrale copertina) ed un'atmosfera onirica e gelida, riscaldata soltanto dal calore della splendida voce di Anneke, se possibile ancora più matura, potente e cristallina di quanto già non fosse in passato. Il senso di equilibrio ed armonia, la perfezione nell’esecuzione ed il sapiente dosaggio di diversi elementi melodici fanno di questo lavoro una piccola gemma, che sembra quasi ideata per essere ascoltata durante quelle pause di riflessione, quei momenti in cui si ha bisogno, per un attimo, di indugiare in una tenue tristezza, necessario elemento di stàsi (e di transizione al tempo stesso) nei nostri stati d’animo.

Difficile elencare i brani più belli e significativi. L’apertura affidata a “On Most Surfaces” è folgorante, amore al primo ascolto. Parte sparata, nel suo incedere leggermente orientaleggiante, e si evolve subito in un arpeggio breve ma persistente nella memoria, per poi continuare a volteggiare tra meravigliosi muri elettrici a cavallo tra il doom ed il gothic. Anneke accoglie l’ascoltatore con i suoi meravigliosi gorgheggi, una mano pura ed angelica che sembra trascinarci fuori da un magma infuocato nel quale ci sembrava di sprofondare. Poetico ed evocativo il ritornello, così come il break, al massimo dell’intensità. “Confusion” appare molto più riflessiva ed impostata su toni introspettivi, merito anche e soprattutto di un basso portante estremamente propositivo, che intesse corpose trame ritmiche sulle quali si arrampicano un malinconico giro di chitarra ed un cantato più sofferente e dimesso. La seconda parte della canzone ne accresce il ritmo, con le sei corde ariose e oniriche, proiettate in uno slancio verso il nulla che poi ricade inevitabilmente nel meraviglioso torpore di tutta la traccia. “The May Song” conquista sin da subito grazie alle sue tastiere settantiane e alla sua atmosfera lontana dal doom e vicina, semmai, ad un fine ed elegante gothic metal (anche se risulta un po’ forzato inquadrare questa canzone in un genere prestabilito). La cantante, qui impegnata in un impressionante saliscendi di tonalità, mette in risalto l’elasticità e la plasticità delle sue corde vocali. Molto cupa e sognante è “The Earth Is My Witness”, una traccia caratterizzata da un pathos assolutamente tenebroso e dall’incedere devastante, debitrice nei confronti di certe sonorità lente e spaccaossa sentite in “Mandylion”, con un chorus veramente impressionante, arricchito da tastiere sublimi.

Stacca da quanto ascoltato sinora “Third Chance”: il pezzo è una lanciata cavalcata dai ritmi frenetici vagamente gothic, che punta molto sull’alto livello di coinvolgimento suscitato dal ritornello. Una traccia di rottura, verrebbe da pensare, basata su una struttura stranamente “vivace”, di certo non tipica per i The Gathering, eppure accattivante quanto basta. “Kevin’s Telescope” è il pezzo che più rimanda al precedente lavoro per quanto riguarda la componente melodica ed onirica. Un soffice e delicato tappeto di tastiere ci accompagna per tutta la canzone, un cielo notturno nuvoloso con qualche sprazzo di sereno nel quale si intravedono le stelle, ma solcato, di tanto in tanto, da lampi, scariche elettriche, messaggere di un temporale in lontananza che si fa sempre più vicino, del quale avvertiamo la tensione che si accumula nell’aria. La titletrack è in assoluto il pezzo più carico d’atmosfera, dolcemente malinconico, invernale e glaciale presente sul disco. La voce di Anneke sembra giungere da lontano, raccontandoci di storie ancestrali ambientate in fredde nottate nordiche, dove il placido mare rompe, pazientemente, il ghiaccio che l’inverno va via via formando, e una leggera brezza fa muovere i rami congelati degli alberi, dai quali si alzano stormi di uccelli scuri che compiono volteggi nel cielo stellato, trasportati dal vento. L’atmosfera è quasi surreale, statica e metafisica, pregna di una calma incredibile eppure venata da una sottilissima ed acuta malinconia. Il viaggio può dirsi concluso con “Shrink”, intensa ballata per voce e pianoforte. Una struttura, questa, che in molti hanno cercato di riproporre in campo metal, arrivando spesse volte a copiare una sola molecola dell’universo emozionale che si riesce ad intravedere in questa traccia, grazie alla potente ed evocativa voce della cantante.

“Nighttime Birds” lancia la band verso nuove strade, lontane dal doom/gothic iniziale ma non per questo meno evocative. Vero è che con una cantante di tale caratura i Nostri hanno dimostrato di poter produrre veramente di tutto; tuttavia, la loro sperimentazione non è cieca (o esclusivamente mainstream), ma segue un filone malinconico e psichedelico che da qui in avanti diventerà il marchio di fabbrica della band, escludendola da ogni genere e catalogandola nell’olimpo delle band “praticamente perfette”.




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