Blind Guardian
At The Edge Of Time

2010, Nuclear Blast
Power Metal

Di nuovo nel mondo fantasy per un viaggio ai confini del tempo...

Recensione di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 26/07/10

Il nuovo risveglio nella terra di mezzo è meno brusco se confrontato col precedente di quattro anni fa, quando “A Twist In A Myth” (2006) radeva al suolo ogni speranza di un ritorno alle origini. Tra inganni (composizioni) e tradimenti (cambio di genere), i Blind Guardian toccarono il fondo, responsabili assieme al produttore Charlie Bauerfeind di una catastrofe biblica che presagiva alla caduta degli Dei, già barcollanti dopo il controverso “A Night At The Opera” (2002). Un percorso impensabile dopo gli anni dell’ascesa al trono, quelli di “Imaginations From The Other Side” (1995) e di “Nightfall In Middle-Earth” (1998), un’inspiegabile crisi d’identità, e ora, coi dubbi che ci attanagliano e con l’angoscia di una prevedibile e incombente catastrofe, siamo al fatidico risveglio, di nuovo, pronti a intraprendere un viaggio “At The Edge Of Time”, ai confini del tempo. Sulla strada che condurrà al ritrovamento dell’antico spirito, i Blind Guardian, abbandonando quasi definitivamente l’influenza “progressive” che aveva dominato il disco precedente, scelgono di percorrere sentieri già battuti ed a loro più congegnali, evitando perciò di varcare soglie sconosciute come accaduto qualche anno prima.


Il resoconto che state per leggere è il risultato di un numero indefinito di ascolti, fondamentali per comprendere, delimitare, contestualizzare e infine giudicare la nuova fatica teutonica.


“Sacred Worlds” già la conosciamo, è una suite commissionata dai produttori del videogame “Sacred”, inserita in prima posizione come da collante tra passato e presente, perché è davvero l’unico pezzo che autorizza elementi vecchi e recenti, prima dell’avvicendamento definitivo con la bordata metallica “Tanelorn (Into The Void)”, grazie alla quale i bardi di Krefeld si ritrovano immersi in una battaglia di suoni e cori, anche se il ritornello non è ammiccante e decisivo come una volta. Poco male, perché la carne al fuoco non manca. C’è una prevalenza di brani a velocità parzialmente limitata, ma che prediligono cori avvolgenti e melodie ancestrali, è il caso della successiva “Road Of No Release”, che si alternerà ad un’altra fucilata power/heavy, “Ride Into Obsession”, meno ragionata e più diretta di "Tavelorn", con bridge e refrain funzionali alla frenesia di un pezzo che è nato per ruggire dal vivo. Fin qui tutto bene, avrete bisogno di qualche ascolto in più del solito per riuscire a recepire correttamente i passaggi più forbiti e gli assoli di Olbrich, non fatevi ingannare dai primissimi ascolti e tenete duro. La ballata medievaleggiante non poteva mancare, “Curse My Name” è deliziosa, batte ai punti la precedente “Skalds And Shadows” ma è inferiore alle immortali “Bard Song” e “Lord Of The Rings”. Non ho compreso né condiviso la scelta di mischiare i suoni tipici del basso medioevo francese con quelli celtici, ma il motivetto è talmente valido ed efficace che non ci farete nemmeno caso.


La seconda metà del disco è convincente, se possibile ancor più della prima. “Valkyries” è un brano piuttosto lento ma infinitamente epico, dove troneggia la voce di Hansi, si tratta di un pezzo che prevede soluzioni pinkfloydiane già sentite su “The Maiden and the Minstrel Knight”. Sulla sua scia anche “Control The Divine”, molto simile nell’incedere ma con una costruzione stile Nightfall In Middle-Earth. Si abbassano ancora i ritmi ma l’atmosfera si fa eterea, “War Of The Thrones” è la ricerca di un posto nel paradiso degli Dei, dove la musica si fa soffusa e la luce abbagliante, la voce di Hansi vi guiderà sino alle porte del grande cancello bianco ma ricadrete nell’oscurità. “A Voice In The Dark” ha il piglio del vecchio cavallo di battaglia, un susseguirsi di rincorse e di duelli tra uno strumento e l’altro che hanno il culmine in un ritornello a presa rapida. Certo, non è e non sarà mai la nuova “Mirror Mirror” ma con il giusto approccio ve la gusterete sempre di più ascolto dopo ascolto. L’epilogo, almeno per il sottoscritto, è memorabile. “Wheel Of Time” è il pezzo più bello e imponente che i Blind Guardian hanno composto e proposto negli ultimi dieci anni, dove l’orchestra si fa preponderante come accade su Dark Passion Play dei Nightwish ma in linea con lo stile melodrammatico di una “And Then There Was Silence”. Suoni orientaleggianti e ritmiche serrate che vi accompagneranno fino all’esplosione di un coro inaudito, immenso, da solo in grado di coprire tutte le falle e gli errori commessi in due lustri, in due dischi.


Le parole che avete letto sin qui non vogliono glorificare né esaltare oltremisura la formazione di Krefeld, bensì rendere merito al “mea culpa” e alla fattiva retromarcia dopo gli stravaganti errori di “A Twist In The Myth”. “At The Edge Of Time” non riesce mai nemmeno a sfiorare le sommità raggiunte coi capolavori del passato, però è un gran bel passo in avanti che manifesta un’ispirazione ritrovata, un album longevo che avrete voglia di ascoltare molto spesso e che, perché no, vi farà tornare la voglia di riprendere in mano un buon libro fantasy. Li aspettiamo in tour.





01.Sacred Worlds
02.Tanelorn (Into The Void)
03.Road Of No Release
04.Ride Into Obsession
05.Curse My Name
06.Valkyries
07.Control The Divine
08.War Of The Thrones (Piano)
09.A Voice In The Dark
10.Wheel Of Time

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