I Nostri tornano alla ribalta forti di un cambio di line-up, che vede l'arrivo del cantante Diego Marchesi e del bassista Francesco D'Errico. La voce di Diego risulta particolarmente azzeccata e convincente nel ruolo di narratore di questo viaggio. Come un novello Virgilio - tanto per rimanere in tema dantesco - riesce a traghettare con agilità l'ascoltatore fino alla fine, sfoggiando espressività e calore in ogni brano, cosa non molto facile vista l'imprevedibile varietà di ciascuno di essi. Onestamente, l'arrivo di Marchesi è senza dubbio un notevole salto in avanti per la band (senza nulla togliere ai precedenti cantanti), che è anche stata in grado di far maturare a dovere il proprio songwriting, acquisendo più sicurezza e coraggio, riuscendo ad avanzare nel pantano inflazionato da gruppi cloni dei Dream Theater, dei Queensryche, degli Yes e via dicendo. Nulla hanno da invidiare alle leggende del genere e agli shredder più blasonati i due chitarristi della band, Diego Cafolla e Ivan Nastasi, che compiono un lavoro veramente poliedrico, tra riff accattivanti, quasi adatti a singoli radiofonici, tra sequenze fulminanti per velocità e precisione, e tra arpeggi spagnoleggianti (ascoltando l'iniziale "The Slide" rivolgere un pensiero alla meravigliosa e barocca "Innuendo" dei Queen è veramente inevitabile).
Con "Islands" vi sembrerà di imbarcarvi su un veliero e di viaggiare nel mare illuminato dal sole e agitato dal vento, grazie alla presenza di piacevoli chitarre acustiche nel brano, che ancora una volta sembrano privilegiare sonorità e ritmiche dai sapori folk tipiche della zona mediterranea. L'incredibile varietà di "Phlegethon" ci propone anche delle interessanti mescolanze tra progressive più datato e tra quello più moderno. Vengono prese in prestito suggestioni tipiche dei Porcupine Tree e vengono dilatate e rielaborate nella cullante e dolce "Lullaby For An Innocent", con un'aggiunta di toccanti voci che si sovrappongono l'una con l'altra, quasi si stesse entrando in una dimensione onirica, molto vaga e remota. "Evasion" e "Numb" strizzano decisamente l'occhio alla modernità, riportando alla luce dimensioni cupe, melodie più tormentate e meno eteree, voci effettate e graffianti. In tutto questo grande calderone di influenze, viene tessuto un grande arazzo vario e mai noioso, tanto che non può mancare il momento più catchy e ruffiano, ovvero "Washing Out Memories", dall'inizio piuttosto somigliante a "Questa È La Mia Vita" di Luciano Ligabue.
Cercare di descrivere in modo dettagliato la complessità e la varietà di quest'album darebbe vita ad una recensione traccia per traccia un po' leziosa e pedante: mi sono limitata a descrivere le mie impressioni e suggestioni. Ma siamo tutti diversi e sono certa che altri ascoltatori troveranno altre sensazioni ed influenze, dando vita ad un viaggio tutto personale grazie a questo concept album di dodici tracce. La materia prima, ottima peraltro, non manca di certo. Mai farsi influenzare dai titoli: ciò che aveva l'aria di essere un viaggio infernale, si è rivelato un bellissimo percorso, ricco ed esaltante, a tratti anche molto rilassante. I Kingcrow non hanno assolutamente niente da invidiare alla concorrenza estera: assolutamente promossi come una delle realtà italiane più convincenti in questo panorama.