I canadesi Necronomicon non mi convincono molto. Il loro ultimo parto, “The Return Of The Witch”, si ispira così tanto a certi album dei Behemoth da suonare spesso come privo di originalità o di spunti interessanti. Così come i polacchi, i Nostri fondono un’intelaiatura ritmica tipicamente black (per avere un’idea di cosa stia parlando è sufficiente dare un ascolto al disumano drumming del batterista) con una controparte melodica di stampo death filo-svedese. Tutto sommato, i pezzi risultano strutturalmente piuttosto vari, traendo giovamento da continue variazioni nei riff e da inserti di cori femminili che donano al tutto un carattere mistico ed esoterico. Certo, niente di nuovo sotto il sole, ma piccolezze come queste rendono più agevole e meno scontato l’ascolto dei pezzi.
Non mi sento di segnalare alcun brano in particolare. Purtroppo, sebbene il tasso tecnico messo in gioco sia tutto sommato alto, la cronica mancanza di originalità dei Necronomicon fa filar via il disco con estrema tranquillità e senza scossoni significativi. Giusto con una capatina nel black sinfonico à la Dimmu Borgir (“Seven”) e con uno strumentale piuttosto noioso posto come terza traccia (“The Time Is Now”) si cerca di scacciare una certa apatia che comincia già a serpeggiare sin dai primi brani, ma il risultato non si smuove dalla sufficienza.
Un disco piuttosto incolore, non insufficiente ma nemmeno lontanamente in grado di interessarvi per più di due, tre ascolti (a meno che non viviate di pane e Behemoth). Guardatevi intorno, in giro ci sono dischi sicuramente più interessanti di “The Return Of The Witch”.
Non mi sento di segnalare alcun brano in particolare. Purtroppo, sebbene il tasso tecnico messo in gioco sia tutto sommato alto, la cronica mancanza di originalità dei Necronomicon fa filar via il disco con estrema tranquillità e senza scossoni significativi. Giusto con una capatina nel black sinfonico à la Dimmu Borgir (“Seven”) e con uno strumentale piuttosto noioso posto come terza traccia (“The Time Is Now”) si cerca di scacciare una certa apatia che comincia già a serpeggiare sin dai primi brani, ma il risultato non si smuove dalla sufficienza.
Un disco piuttosto incolore, non insufficiente ma nemmeno lontanamente in grado di interessarvi per più di due, tre ascolti (a meno che non viviate di pane e Behemoth). Guardatevi intorno, in giro ci sono dischi sicuramente più interessanti di “The Return Of The Witch”.