Sex Pistols
Never Mind The Bollocks (Here's The Sex Pistols)

1977, Virgin
Punk

Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 10/08/10

"Il rock and roll è la musica dei teppisti", parola di Frank Sinatra. Erano altri tempi, certo, si parlava del primo rock, quello scalmanato, originato blues alla Little Richard o alla Jerry Lee Lewis. Perché in fondo cos'avrebbe mai di teppista il rock di certi supergruppi come gli Emerson Lake & Palmer, che in quegli anni settanta ci deliziavano con suites di oltre dieci minuti, con remake di Modest Mussorgskij e con pezzi di bravura musicale degni di un auditorium incravattato e perbene? Ebbene, ciò che il punk ha significato per la storia fu il ritorno del rock dei teppisti; era un momento che forse ne aveva bisogno: per piantarla di parlare d'amore o di fantasie Tolkieniane e per aprirsi ai disagi reali, ai problemi e di farlo con un linguaggio alla portata di tutti. Capire che qualcosa era nell'aria fu la geniale intuizione del recentemente defunto Malcom McLaren, che di fatto lanciò il punk scoprendo i Sex Pistols. "Never Mind The Bollocks" non lo creò musicalmente, il punk, ma è il suo più compiuto grido di battaglia, nonché uno dei dischi più influenti della storia.

I Sex Pistols dividono sempre. Un po' perché la loro forza triviale fa ribrezzo a chiunque pretenda un minimo di raffinatezza formale, un po' perché non si è mai capito bene fino a che punto fossero sinceri, nel loro essere contro tutto, nei loro scandali cercati e trovati, in quello che dicevano e in quello che erano. Eh già... chi erano i Sex Pistols? Da quanto si narra nelle loro biografie, forse con un alone leggendario, Steve Jones, Paul Cook, Sid Vicious e Johnny Rotten sono cresciuti da teppisti veri. A Steve va il merito aver messo al servizio della band la sua cleptomania morbosa, procurando la prima strumentazione; al primo bassista, Glen Matlock, il merito d'essere l'unico ad aver avuto un minimo di gusto musicale; a Vicious quello d'aver incarnato lo "spirito punk" fino all'ultimo respiro (oltre all'invenzione del pogo); a Rotten quello d'aver creato l'immagine e la "politica" della band. Fu Rotten, in fin dei conti, il vero genio della truppa: la sua capacità istrionica non ha pari, tanto che non si riuscirebbe mai a capire se sta recitando un copione o se è semplicemente fuggito da qualche manicomio. Lo vedi coi suoi occhi persi e irriverenti a sparare volgarità con fare ironico e nervoso e con la sua storta vocetta da ragazzaccio; così era ieri, così Johnny è sempre rimasto. In effetti dispiegando a manetta "Never Mind The Bollocks" nello stereo di casa ci si sente dei ragazzacci senza alcuna voglia di crescere, ma poco c'importa di cosa penseranno i vicini. Diciamo solo "meno male che non capiscono bene l'inglese": già solo tradurre il biglietto da visita di un Johnny "Marcio" cantante delle Pistole Sessuali rende un po' l'idea di come il loro messaggio fosse esplicito non solo in fatto di musica, ma anche nel contenuto.

Sul piano musicale possiamo citare un paio di influenze certe e dichiarate: gli Stooges e gli Who, ma i Nostri non nascosero mai l'amore anche per il rock "prima maniera" di Chuck Berry e Eddie Cochran: di tutti questi artisti i Sex Pistols ci hanno lasciato alcune cover ruvide e sgangherate che testimoniano la loro vocazione diretta e atecnica. Ah, anche quel retrivo di Sinatra non poteva certo esser risparmiato dal “cattivo” Sid: la sua versione di "My Way" è, se non altro, una buffonata di qualità. Sul piano politico, invece, Rotten e soci erano proprio tutto e niente. Anarchia, comunismo, nazismo... Riferimenti che si sprecarono e che fecero grande clamore, ma la realtà vera sottendeva il loro nichilismo iconoclasta: le altre erano tutte burle, rumore per il rumore, oltre che pubblicità a buon mercato. Tutto ciò, appunto, fu anche una moda. Lo testimonia il celebre addio di Johnny nel loro ultimo live: "non avete mai avuto l'impressione di esser stati fregati?" Eccome, ma nonostante il polverone mediatico che fece dei Pistols un fenomeno d'immagine non possiamo certo affermare che il loro album sia un contenitore privo di idee. Pur con tutti i limiti del genere, stiamo parlando di qualcosa di rivoluzionario che ancora oggi ispira musicisti in tutto il mondo. "Never Mind The Bollocks", infatti, contiene tutto il meglio della prima ondata punk: ironico, volgare, ribelle, strafottente, marcio; nonostante la retrospettiva critica sulle vere opinioni dei Nostri una cosa è certa: questa musica sembra davvero suonata da farabutti, sporchi e maleducati. In altre parole i Sex Pistols incarnavano ciò che vendevano. Da lì in poi “fare il punk” sarebbe diventato un fenomeno d’emulazione collettiva.

Passando all’ascolto di questo album si fa fatica a non mescolare alla musica anche critica sociale e scandali annessi e connessi. La censura britannica tentò senza successo di oscurare la virulenza esaltante del singolo “God Save The Queen” tanto che non riportarvi qualche stralcio delle liriche firmate da Johnny Rotten sarebbe un vero reato.
 
Oh signore Dio abbi misericordia
Tutti i crimini sono pagati
Quando non c’è futuro
Come può esserci peccato?
Siamo i fiori nella pattumiera
Siamo il veleno nella vostra macchina umana
Siamo il futuro, il vostro futuro
Dio salvi la regina
Hai capito bene
Amiamo la nostra Regina
Dio la salvi
Dio salvi la Regina
Hai capito bene
E non c’è futuro
Nel sogno dell’Inghilterra
Nessun futuro, nessun futuro
Nessun futuro per voi


Ma se il testo non bastasse a colpirvi immaginatene anche l’interpretazione nevrotica e l’incendiario refrain: questo è il vero manifesto della rivoluzione del ‘77 Punk.

L’altro inno indimenticabile, “Anarchy In The U.K.”, è un’elegia nichilista e strafottente, retta da una minimale ed efficacissima musica del buon Glen Matlock.

Io sono un anticristo
Io sono un anarchico
Non so cosa voglio
Ma so come ottenerlo
Voglio distruggere il passante
Perché io voglio essere Anarchia


Ma non saranno solo questi saranno i momenti degni di un capolavoro. Perché bisogna di certo sfatare il mito che vorrebbe i Sex Pistols come musicisti geneticamente incapaci. Il lavoro in studio è tutt’altro che improvvisato: senza sbavature, con una produzione ben fatta e interpretato in modo davvero espressivo. Sebbene tale sound in genere rischia cadere nella monotonia, “Never Mind The Bollocks” è forte di un songwriting così colorito da non annoiare neanche per un minuto. Certo, è tutto piuttosto elementare: già i Ramones avevano coniato un linguaggio basico che chiunque avrebbe potuto riprodurre e i Sex Pistols seguono coordinate analoghe, pur tenendosi alla larga dalle demenziali sonorità alla Beach Boys care invece ai “fratelli” americani. Ma se volessimo capire la poetica dei primi punk basterebbe concedersi un’altra citazione dalla sguaiata “Seventeen”

Amiamo il rumore
è la nostra scelta
è ciò che vogliamo fare
non ci frega dei capelli lunghi
[…]
guarda il mio viso, nessun cenno
nessuna verità, io non lavoro
semplicemente supero i limiti,
è tutto quel di cui ho bisogno


Si potrebbe andare avanti a lungo semplicemente sfoderando e gustando le liriche ribelli di Rotten, che sono quanto di più irriverente possa capitare nel vostro lettore: per esempio quando narra di come si innamorò di se stesso guardandosi allo specchio (“No Feelings”), di quando mandò a farsi benedire la sua casa discografica (“E.M.I.”) o di quando diede del bugiardo a McLaren (“Liar”). I toni sono sempre quelli, ormai chiari e delineati.

Difficile trovare una band che sia stata da sola sinonimo un intero movimento; ma in questa cavalcata durata giusto un paio d’anni i Sex Pistols riuscirono a tirar su un parapiglia come pochissimi altri seppero fare. La tentazione di imitare le loro gesta fu un fenomeno che colpì generazioni e generazioni di ragazzi. Un fulmine. Giustamente non chiesero mai la stima di nessuno, quindi non mi sembra il caso di ascoltare la loro musica con spirito d’ammirazione analogo ad altri capolavori del rock. “Never Mind The Bollocks” non si deve ammirare, si deve attaccare allo stereo dimenticando il bon ton del rock fatto come si deve. Solo in quel momento potrete capire cos’ha significato e cosa continua a significare questa mina anti-tutto che noi chiamiamo punk rock.



01. Holidays In The Sun
02. Bodies No Feelings
03. Liar
04. Problems
05. God Save The Queen
06. Seventeen
07. Anarchy In The U.K.
08. Submission
09. Pretty Vacant
10. New York
11. E.M.I.

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