Tarja
What Lies Beneath

2010, Universal Music
Symphonic Metal

Scricchiolanti premesse si trasformano in tragiche realtà nel secondo lavoro solista della celebre soprano
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 06/09/10

Prima di parlare di un personaggio “scomodo” come Tarja Turunen, è bene che il sottoscritto chiarisca per bene la propria posizione riguardo alla famosa, epica diatriba (già storica nel mondo metal) tra la signora oggetto del presente articolo e Tuomas Holopainen, tastierista dei Nightwish. Vicenda che, come sanno ormai anche i sassi, si è risolta con un doloroso quanto chiassoso split lanciato con strategica furberia nelle fauci dei media, che lo hanno fagocitato, digerito, rigurgitato e poi nuovamente fagocitato.  Scusate la dietrologia più che abbondante che sta per arrivare, ma tutto questo è strettamente necessario per capire le ragioni che arriveranno in fondo a questa critica. Lasciate che vi racconti una storia nota, seguendo il mio punto di vista.

UNA VOLTA TU ED IO ERAVAMO FELICI INSIEME…


Ritengo che i Nightwish abbiano sinceramente scritto le pagine del grande libro dell’Heavy Metal con due gemme di assoluto valore e splendore come “Oceanborn” e “Wishmaster”, due capolavori assoluti, nati a poca distanza l’uno dall’altro, che hanno contribuito a rendere forte ed inossidabile la scena female fronted, nonché a formare l’ossatura di un particolarissimo power metal di stampo finnico. Un sound sorretto dalle sognanti ed avvolgenti tastiere di Mr. Holopainen, deliziosamente affascinate tanto dallo speed quanto dalla musica classica, nonché dall’ugola della Sig.ra Turunen, soprano prestato alle armi del power metal che, quasi quindici anni fa, ha fatto urlare più o meno chiunque al miracolo (al di là di doti tecniche da sempre oggetto di discussione tra critica e fan, è indubbio che prima dei Nightwish nessuno aveva mai pensato di rendere il cantato lirico il protagonista unico ed assoluto di una canzone power metal).

Come in ogni bella fiaba, il successo arrivò a rovinare tutto, manifestando il suo diabolico effetto con ego sempre più rigonfi da parte di Tuomas e Tarja. Il primo abbandonava via via l’immagine di bravo e timido poeta maledetto in favore di uno strambo sosia di Jack Sparrow (con un particolare tocco alla Fornaciari): tanto più le sue composizioni venivano ispessite di ingombranti e travolgenti orchestrazioni a nascondere abilmente lacunose e friabili melodie, tanto più cresceva la quantità di eyeliner sotto gli occhi del buon tastierista. Dal canto suo, Tarja, sentendosi oramai diva con la “D” maiuscola, non lesinava capricci ed isterismi degni della Callas più disturbata. Lo split, in fondo, era diventato una semplice questione di tempo…

PRENDEREMO STRADE DIVERSE, E NON CI RIVOLGEREMO PIU’ LA PAROLA

E’ in effetti interessante vedere chi sono diventati Tuomas (ovvero i Nightwish) e Tarja dopo lo storico split seguito alla pubblicazione dell'altalenante “Once”. Quasi sfidando tutto ciò che rappresentava il suo passato, Tuomas ha scelto al posto di Tarja una cantante buona adatta a ricoprire il ruolo di quinto membro di una girlband qualsiasi piuttosto che a diventare la frontwoman di una formazione iconica del mondo del metal come i Nightwish, il tutto per coronare canzoni sempre più pompose e sempre più emotivamente sterili, producendo quello che, ad oggi, ritengo l’album heavy metal più sopravvalutato di tutti i tempi, ovvero “Dark Passion Play” (ma lo sentite l’ego già a partire dal titolo? E’ soverchiante!)

Di contro, Tarja ha cercato di rimanere ancorata al suo ruolo borderline: cercando di non scontentare i suoi fan, così indissolubilmente ancorati al ricordo di donna lirica prestata al metal, la Nostra ha scelto la strada della composizione di una rock opera, merlettata al punto giusto da un team produttivo di assoluto valore (lo stesso dietro ai lavori di Hans Zimmer), intitolato “My Winter Storm”. L’idea in sé non era male e poteva in effetti rivelarsi vincente, se solo Tarja avesse saputo scegliere con cura i propri compositori, risolvere meglio atteggiamento ed immagine, anziché assemblare un’opera stantia, una sorta di sussidiario del metal che non possedeva minimamente la classe e la controversia di una – tanto per citare quello che da sempre è un faro guida della Turunen in ogni sua mossa – Sarah Brightman (da sempre in bilico tra il sacro della classica ed il profano del pop più commerciale), o la carica rock di un album ben riuscito della discografia dei Nightwish.

WHAT LIES BENEATH

In attesa della prossima mossa di Mr. Holopainen, vediamo cosa ci propone oggi la buona Signora Turunen. Ben poco, signori: questo “What Lies Beneath” non solo rappresenta la classica occasione mancata per correggere il tiro di tutto ciò che era sbagliato nell’opera prima, ma, di contro, ne ostenta tutte le negatività.

Canzoni che potevano anche mostrarsi interessanti come l’iniziale “Anteroom Of Death” (con i Van Canto relegati al ruolo di coristi): dalle intriganti premesse di un pastiche barocco, rimane un pastiche e basta grazie a dilettantistiche e francamente inspiegabili atonalità lungo il ritornello, le stesse stonature che rovinano un bridge in crescendo di notevole intensità su “In For A Kill”. Ancora, che dire di pacchianerie come gli ansimi finali di “Until My Last Breath” (risposta forse a “Cadence Of Her Last Breath” dei Nightwish? Nel caso, Tarja ansima meglio di Anette, questo bisogna riconoscerglielo!), o pesantissimi lenti semi-orchestrali quali “Underneath” e “Rivers Of Lust”. In tutto questo, l’unica stella di rara e pura luce è rappresentata dal singolo “I Feel Immortal”: intensa e perfetta per la voce della Turunen. Il pezzo non è tuttavia frutto di una scelta della cantante ma dell’etichetta, la quale ha imposto il brano probabilmente con l’intenzione di salvare, commercialmente parlando, un disco malriuscito come questo, presentandolo per bene con una canzone ed un video d’effetto (l’Islanda, si sa, coi suoi paesaggi rende affascinante praticamente qualsiasi cosa si ponga sui suoi sfondi mozzafiato).

Come al solito, quando si parla di Tarja e Nightwish, il pubblico ignorerà questa feroce – lo ammetto – critica nei confronti di una donna che mostra un opportunismo a dir poco fastidioso: per molta gente, già il solo fatto che ci sia Tarja Turunen a cantare non può far altro che significare che ci si trovi di fronte ad una musica altamente significativa. Tuttavia, tutto questo presunto potere affidato alla soprano deriva, di fatto, da una carriera passata che viene sagacemente e continuamente ricordata a tutti presentando in scaletta, durante gli show attuali, le vecchie canzoni dei Nightwish, o con atteggiamenti da prima donna del metal che, francamente, risultano abbastanza impacciati.

Come ebbi già modo di scrivere nei riguardi della Sig.ra Turunen, se la Nostra vorrà tornare a convincere il sottoscritto, si imponga un cambio di rotta totale, oppure cominci a scrivere canzoni fortemente emozionali. Eppure, dato che né l’una né l’altra strada sono state intraprese negli ultimi quattro anni, non vedo perché covare ancora la speranza di una valorizzazione artistica da parte di una donna che, in fondo, avrebbe davvero molto da dire. Uno dei dischi più brutti di questo 2010, che d’altronde non tradisce scricchiolanti premesse avvertibili da molti mesi a questa parte. Uno spreco di risorse e guests francamente inspiegabili (ancora mi chiedo come mai Mike Terrana continui a suonare la batteria nella Tarja-band, oppure come la finlandese abbia convinto il guitar hero Satriani a registare un magnifico assolo per una canzone totalmente priva di mordente quale “Falling Awake”).

Guardate, il voto potrebbe anche essere un 5, ma, come giustamente ricorda la saggezza popolare, perseverare è sempre diabolico, anche (e soprattutto) se di nome fai Tarja Turunen.



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