Swashbuckle
Crime Always Pays

2010, Nuclear Blast
Thrash

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 20/09/10

Ad un anno di distanza dal secondo album della pirate thrash metal band statunitense Swashbuckle, quel “Back To The Noose” che tanto ha fatto discutere gli addetti del settore (e non solo, aggiungerei), arriva sugli scaffali di tutti i negozi musicali il terzo lavoro intitolato “Crime Always Pays”. Forti di un lungo ed estenuante tour, nonché della partecipazione europea al Pagan Fest e della presenza fissa in numerosi festival estivi (tra i quali spicca il rinomato Wacken), il trio di bucanieri decide che il tempo è maturo per proporci un nuovo e scintillante full length. Rinchiusi sotto coperta per il tempo necessario alle registrazioni (molto veloci a dire il vero, dato l’esiguo lasso temporale a disposizione), i nostri pirati dei sette mari sfornano un disco che non è bianco e nemmeno nero, non è zuppa e non è pan bagnato, non è uno scrigno d’oro e non è una bottiglia piena di grog.

Il disco, va detto subito, segue il continuum musicale iniziato dai suoi due predecessori: thrash metal e tematiche piratesche sono i suoi ingredienti principali. Ingredienti che fanno da grossa amalgama per tutto quello che poi verrà aggiunto mano a mano che l’ascolto del cd prosegue: intermezzi caraibici (meno ossessivi e persistenti rispetto al passato), momenti di relativa bonaccia musicale, coretti di marcata e chiara ubriacatezza molesta, violenti e furiosi passaggi di chitarra paragonabili solamente alle peggior tempeste marine ed ultima, ma non per importanza, la caratteristica voce (o grido che dir si voglia) dell’ammiraglio NoBeard, al secolo Patrick Henry. Il galeone battente nave pirata mette subito in chiaro chi comanda grazie alla straordinaria combo d’apertura, che contrappone alla solita intro strumentale superevocativa un brano schiacciasassi e frantuma-ossa come pochi se ne sentivano da tempo. La rotta intrapresa dai burberi marinai rimarrà la stessa fino alla fine fine disco, causando però due spiacevoli effetti collaterali (no, non sto parlando dello scorbuto): la ripetitività e la perdita d’interesse. Purtroppo, verso la metà del disco questi due terribili e temuti effetti si materializzano come un leviatano che emerge all’improvviso dagli abissi dell’oceano scatenando il putiferio. La struttura su cui poggiano le canzoni sembra non cambiare mai, lasciando poco spazio all’inventiva ed a nuovi, interessanti sviluppi (forse un periodo di gestazione più lungo tra un album e l'altro avrebbe sicuramente giovato alla band) andando quindi inevitabilmente ad arenarsi in trite e ritrite auto-scopiazzature.

Quello che traspare dalle cristalline e limpide acque caraibiche è l’impressione di una band che ha voluto fare il passo più lungo della gamba (di legno). La nave, sospinta dai rigogliosi e potenti venti della Nuclear Blast, ha questa volta fatto rotta verso luoghi di perdizione e non ritorno, dai quali sarà sempre più difficile far ritorno. Poche imbarcazioni, del resto, possono dire con orgoglio di esserci riuscite a solcare i sette mari. Questa volta il crimine non ha pagato a dovere.



01. Slowly Wept The Sea
02. We Are The Storm
03. This Round's On YOU!
04. Powder Keg
05. Where Victory Is Penned
06. Of Hooks And Hornswogglers
07. A Time Of Wooden Ships & Iron Men
08. Crime Always Pays
09. Raw Doggin' At The Raw Bar
10. The Gallow's Pole Dancer
11. Legacy's Allure
12. At The Bottom Of A Glass
13. To Steal A Life
14. You Bring The Cannon, We'll Bring The Balls

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