Kvelertak
Kvelertak

2010, Indie Recordings
Black Metal/Hardcore

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 15/09/10

Fa davvero piacere scoprire di tanto in tanto qualche nuova realtà che possa movimentare i numerosissimi ascolti di redattori o semplici appassionati. Con sempre più dischi da cestinare, il rischio è di giudicare tutto con eccessiva fretta e perdersi le poche novità degne di nota, in un mare di quantità e poca qualità.

Nel ristretto gruppo di nuove uscite meritevoli svettano i norvegesi Kvelertak, sestetto fino ad ora sconosciuto, che irrompe sul mercato con il debutto omonimo “Kvelertak”, dimostrando immediatamente una cifra stilistica superiore alla norma. La ricetta del combo norvegese è semplice, unire black metal, punk rock, hardcore e rock and roll, in qualcosa di non troppo cervellotico che possa arrivare subito alle orecchie degli ascoltatori. Se tutto questo potrebbe risultare stomachevole sulla carta, i Kvelertak hanno il grande merito di rendere la proposta assolutamente appetibile e coinvolgente, bilanciando al meglio le molteplici influenze in uno stile che potremmo anche definire personale.

Brani veloci e mutevoli, melodie che fanno capolino nella giusta misura, idee non di primo pelo presentate però con un'invidiabile dose di energia, fanno di “Kvelertak” un gioiellino da ascoltare con molta attenzione. Un riuscitissimo ibrido che passa da fraseggi rockabilly, all'irruenza hardcore, senza creare scossoni, da gelide rasoiate black alla Darkthrone a scanzonate chitarre punk rock, con disinvoltura, riuscendo a ogni tornata a non ripetersi e stupire. Stupire per la facilità con cui i brani si lasciano ascoltare, senza stancare o risultare dei “pastoni” senza senso, anzi, i ragazzi hanno bene in mente come dosare le sfaccettature del proprio sound. Servono ad esempio brani come “Ulvetid”, in cui dall'iniziale riffing black spunta fuori un brano rock/hardcore che definire splendido è dire poco, “Fossegrim” e “Blodtørst” sono contagiosamente divertenti, energiche, potentissime e melodiche, per non parlare di “Sultans of Satan”, in cui troneggiano dei cori dal timbro serioso viking, ma dalle ritmiche affini al punk rock, per poi virare su coordinate rock anni 80.

Davvero un disco dalle molteplici sfaccettature, proprio per questo difficile da descrivere a parole (e da definire come genere)... Per ogni singolo brano si potrebbero segnalare le sottigliezze del songwriting, ricco ma non ridondante, o i passaggi da un genere all'altro sempre ben calibrati. So già che a molti oltranzisti del black, l'idea di accostare mostri sacri (ormai defunti) come i Darkthrone con una proposta del genere, decisamente più easy, farà saltare la mosca al naso, senza accorgersi che questi sconosciuti ragazzotti di Stavanger sono riusciti dove i maestri hanno toppato diverse volte, spostando anzi più in alto l'asticella della contaminazione, tanto da indirizzarli verso un differente tipo di pubblico dalla mente più aperta. Un disco davvero riuscito, che giova della produzione perfetta di Kurt Ballou (chitarrista dei Converge), di una bellissima cover disegnata dal sempre più richiesto John Baizley (leader dei Baroness, altra giovane realtà da supportare incondizionatamente), oltre che del supporto della Indie Recordings, mica male per una band al debutto. Prendete nota dei Kvelertak, ne sentiremo ancora parlare sicuramente.   



01. Ulvetid

02. Mjød

03. Fossegrim    

04. Blodtørst

05. Offernatt

06. Sjøhyenar (Havets Herrer)

07. Sultans of Satan

08. Nekroskop

09. Liktorn

10. Ordsmedar av Rang

11. Utrydd dei Svake

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