Dimmu Borgir
Abrahadabra

2010, Nuclear Blast
Black Metal

I Dimmu Borgir compiono una magia ancora da perfezionare, ma non priva di fascino e di ricchezza.
Recensione di Alessandra Leoni - Pubblicata in data: 23/09/10

L'attesa è terminata. In seguito alle turbolenze degli ultimi mesi e alla dipartita di due membri non indifferenti come Mustis ed ICS Vortex, in casa Dimmu Borgir si rompono gli indugi e si dà finalmente vita al nuovo corso. Con un nuovo album, "Abrahadabra" (titolo ispirato dal "The Book Of Law" di Aleister Crowley), ed un nuovo look alquanto spiazzante, che sembra mettere assieme uomini delle caverne e stregoni provenienti da lande fredde e desolate. Si è saputo ben poco del disco durante la sua gestazione, a parte la copertina svelata a pezzi giorno dopo giorno, o la notizia del massiccio impiego dell'orchestra norvegese e dei cori della Schola Cantorum, guidati da Gaute Storaas (già autore di una collaborazione con i Nostri in "Death Cult Armageddon"). Ancor oggi aleggia il mistero su chi siano i degni sostituti dei due musicisti e, soprattutto, la domanda è la seguente: quanto peserà la loro assenza nell'album? Quanto sentiremo la loro mancanza in sede live? Che cosa ci si deve aspettare da questo lavoro che sembra voglia chiudere definitivamente con il consueto strascico di dubbi e critiche per inaugurare una nuova era nella storia della band norvegese?


Iniziamo subito con una doverosa precisazione: quest'album non è sicuramente un capolavoro, ma intanto mostra che i musicisti superstiti non mancano di energia o di idee, anzi, stanno già procedendo spediti per la loro strada. Abbandonata l'"aridità" di "In Sorte Diaboli", da loro stessi definito un album in qualche modo più semplice e diretto, i black metallers tornano alla formula decisamente più vincente del symphonic black metal, con orchestrazioni vere e roboanti, contornate da cori suggestivi, mai adoperati prima. Inoltre, non mancano voci campionate ed estratti di musica senz'altro più elettronica, quasi a cercare di colmare il vuoto lasciato dalla voce pulita di Vortex - ed in qualche frangente un po' di nostalgia è inevitabile. Il dubbio riguarda la capacità della band di reggere tutti questi elementi senza esagerare o suonare pacchiana ed eccessiva. Non giriamoci troppo attorno, perché è vero che la qualità dei suoni, così come la cura della produzione, si assesta su livelli assolutamente professionali ed eccellenti, ma in qualche frangente sembra proprio che i Nostri non abbiano avuto il senso della misura. Per esempio, prendete "The Demiurge Molecule", un brano di per sé gradevole, se non fosse per quel pomposo intermezzo di fiati verso la fine che dona un sentore kitsch al tutto. Al contrario, la magniloquenza dell'orchestra in "Xibir", l'introduzione strumentale che ricorda le colonne sonore hollywoodiane, oppure la magniloquenza di "Dimmu Borgir" non potranno che affascinarvi e vi faranno ascoltare la musica dei Nostri rapiti da queste atmosfere quasi epiche (ma per favore, non tiriamo in mezzo i Nightwish o gli Epica). In questo disco i Dimmu Borgir non si sono fatti mancare proprio nulla: numerosi sono i cambi di tempo che talvolta li avvicinano ai canoni del progressive metal, come accade nella mutevole "Born Trechearous", con un accattivante riff preso più dall'heavy metal che dal black.

Benché certe variazioni risultino un po' forzate, non bisogna certo farne un dramma: ascolto dopo ascolto cominceranno a suonarvi familiari e vi sembreranno non troppo strane o stridenti. I Nostri cercano, proprio come dei maghi o degli alchimisti, di trovare la formula perfetta, anche se a tratti sembrano aver messo troppa carne al fuoco. Ma non tutti gli accostamenti vengono per nuocere: un delicato arpeggio di chitarra acustica in "Ritualist", uno dei migliori brani per equilibrio nella composizione, viene letteralmente travolto da un'ondata di blast beat. Come avrete già capito già da tempo, i Dimmu Borgir non vanno più accostati solamente al black metal più duro e crudo, poiché certe sferzate aggressive tornano solamente verso la fine, come in "Renewal", il brano più breve (sui quattro minuti circa) ed assolutamente gradito per la sua brutalità, o in alcuni frangenti di "A Jewel Traced Through Coal".


La magia e l'occulto sembrano essere i temi portanti in questo "Abrahadabra"; un velo di mistero aleggia nelle formule magiche pronunciate dalle voci ovattate e distorte che si avvertono qua e là... Se la magia non può dirsi del tutto riuscita, i Nostri sono tuttavia riusciti a scrollare via il torpore di "In Sorte Diaboli", cercando di dare il massimo, tavolta con un pizzico d'esagerazione. "Abrahadabra" vi sembrerà forse troppo impegnativo e troppo ricco di idee, ma in qualche modo il suo lato magico ed affascinante si farà apprezzare.





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