Revolution Renaissance
Trinity

2010, Napalm Records
Power Metal

Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 27/09/10

Strana la vita. Strana la vita degli artisti. Strana la vita delle band che gravitano inevitabilmente attorno ad un unico membro fondamentale. Strano il percorso dei Revolution Renaissance. Non appena le cuffie hanno introdotto nelle mie orecchie l'intro di “Marching With The Fools”, ho subito esclamato “Tolkki è impazzito. Di nuovo!”; in un certo senso, persino il titolo della canzone pareva darmi ragione, così come l'incedere della stessa, veloce, incessante, prorompente ed incredibilmente heavy per gli standard del robusto chitarrista finlandese. Tutto sembrava confermare senza remore il mio pensiero. Attenzione però: la definizione che in tal caso affido al termine “pazzia” deve essere inteso in maniera benigna. Infatti Tolkki è un “pazzo” perché per la prima volta ha cercato con questo “Trinity” di rinfrescare il suo stile, di provare alcune soluzioni per lui nuove, come un sound molto più grezzo rispetto a quello che tanto caratterizzava i suoi Stratovarius, o l'uso meno smodato delle tastiere in favore degli altri strumenti.

Sicuramente sarete tentati di smentirmi, affermando che questi cambiamenti erano stati quantomeno già accennati nel precedente “Age Of Aquarius”: vero, ma in quel caso il risultato non sempre si rivelava all'altezza, e molti, troppi richiami al classico schema della canzone stratovariussiana (brano veloce: strofa veloce – bridge con stacco – ritornello con vocalizzi a squarciagola – ultima parte più alta di tonalità e finale trionfale; brano “melodico”: prima parte acustica e pacata – seconda parte pomposa e dai toni solenni) soffocavano spesso la pur dignitosa opera. Con questo non voglio dire che in “Trinity” tali richiami siano del tutto assenti, ma semplicemente sono “nascosti” meglio (“Crossing The Rubicon” incattivisce buona parte della parte ritmica a “Black Diamond”) o elaborati in maniera nuova (“Falling To Rise”, “A Lot Like Me”). Tutto il cd suona stranamente fresco, potente e tirato ma quasi mai tedioso, come invece poteva accadere nel precedente lavoro, e la performance di tutto il gruppo è convincente: Bruno Agra alla batteria svolge adeguatamente il proprio compito, compiendo delle variazioni che permettono di rendere il suo ritmo meno monotono di quanto potrebbe tranquillamente essere, Justin Biggs al basso è essenziale, Bob Katsionis esegue il minimo indispensabile con le proprie tastiere, ma quando serve un apporto più incisivo è pronto e presente.

Un discorso a parte per voce e chitarra: la prestazione di Gus Monsanto è graffiante e potente nei momenti giusti, sfodera acuti solo in poche occasioni. Questo non è un difetto, ma significa esser consci delle proprie capacità e della propria resistenza tenendo in conto anche l'eventuale sede live; un applauso, quindi sia a Gus, che è riuscito a tessere linee vocali pregevoli, e a Timo Tolkki, il quale evidentemente ha desistito dalla consuetudine di voler pretendere il massimo e l'impossibile dagli altri membri (ricordiamo gli sforzi spesso al limite del lecito del signor Kotipelto all'epoca degli Stratovarius, anche dopo il periodo più felice del singer finlandese, ovvero dopo “Visions” e “Destiny”). Proprio a proposito del chitarrista, al sottoscritto ha fatto particolarmente piacere ascoltare, oltre che brani nel complesso ben concepiti e coinvolgenti, assoli molto vari, con accenni di sweep e soluzioni nuove (l'immancabile doppia plettrata ereditata dal neoclassico è rimasta, tranquilli), percependo quindi la voglia di un rinnovamento totale da parte del corpulento finlandese.

Ovvio che non tutto è perfetto: la title track, seppur bella, mostra una sequenza di accordi che somiglia un po' troppo a “Revelations” degli Iron Maiden, il singolo “Dreamchild” è forse il pezzo più canonico dell'intero lotto, ed in generale la seconda parte dell'album è meno ispirata rispetto l'inizio, fatta eccezione per la conclusiva ballad “Frozen Winter Heart”: l'ossatura è quella della tipica Stratovarius-ballad, salvo poi dilungarsi in un assolo da pelle d'oca e cori che rafforzano il cantato eccellente di Monsanto quando serve; un'ottima conclusione, insomma. Un'ottima conclusione definitiva, purtroppo. Già, perché Tolkki, nel luglio di quest'anno, ha deciso di sciogliere la band per “motivi personali”, quindi nessun tour, nessun altro  progetto futuro.

Strana la vita. Strana la vita degli artisti. Strana la vita delle band che gravitano inevitabilmente attorno ad un unico membro fondamentale. Strano il percorso dei Revolution Renaissance. Nati per un capriccio, se così vogliamo definirlo, di Timo, avevano intrapreso un percorso interessante, non rivoluzionario (a dispetto del nome) di certo, anche perché il power metal ha già dato quasi tutto quel che poteva offrire, ma è proprio in quel “quasi” che si erano collocati i Nostri ed i rinnovati Stratovarius.

Strana la vita di queste due band: Kotipelto e soci con la defezione del fondatore hanno paradossalmente scoperto nuove possibilità a livello compositivo, grazie al nuovo chitarrista, mentre Tolkki ci ha messo un po', ma anche lui con la sua nuova creatura stava dando luce a qualcosa non di nuovo od originale, ma comunque di fresco, bello, coinvolgente. L'ex Stratovarius ci ha tuttavia abituato a certi “colpi di scena” in passato (chi ricorda, nel 2004, la presentazione di UNA cantante in sostituzione a Timo Kotipelto, durata giusto il tempo di una session fotografica?), salvo poi tornare sui suoi passi e riprendere in mano le redini della situazione. Francamente il sottoscritto ci spera, perché la piega che i Revolution Renaissance stavano delineando era davvero interessante, se non notevole. Chissà, la vita è strana.



01. Marching With the Fools
02. Falling to Rise
03. A Lot Like Me
04. The World Doesn`t Get To Me
05. Crossing the Rubicon
06. Just Let It Rain
07. Dreamchild
08. Trinity
09. Frozen Winter Heart

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