Jaldaboath
The Rise Of The Heraldic Beasts

2010, Napalm Records
Folk Metal

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 01/10/10

Ok, voglio essere sincero sin da subito: a me questi Jaldaboath stanno simpatici, e non poco. Il loro “heraldic templar metal” (genere coniato appositamente dalla loro etichetta, riconducibile ad un più umanamente condiviso folk metal) rimanda ai più conosciuti Korpiklaani con il suo fare divertente, scanzonato e festaiolo, ed è assolutamente da non prendere troppo sul serio. La tecnica generale con la quale la band suona i propri pezzi non è di certo nulla di eccezionale, ma ciò nonostante questi si lasciano ascoltare con gran piacere.

I Nostri vengono dall'Inghilterra, e in questo loro primo disco, “The Rise Of The Heraldic Beasts”, ci propongono dieci pezzi ambientati nel periodo dei Templari e delle crociate: tutti quanti i brani vedono, oltre ai consueti basso, chitarra e batteria, anche l'inserimento di strumenti a fiato (qui però riprodotti con la tastiera) quali trombe, trombette e chiarine, atti a dare maggior colorito alle canzoni e ad aiutare nella rievocazione del periodo storico di riferimento. Non tutti i pezzi sono allegri e spigliati però: alcuni di essi sono stranamente cupi, creando una strana spaccatura umorale  all'interno dell'album; non tutti, inoltre, sono della stessa qualità, e talvolta ci troviamo di fronte a cadute di tono tutto sommato evitabili. A conti fatti cinque sono i brani trascurabili: “Seek The Grail”, “Jaldaboath”, “Bring Me The Head Of Metatron”, “March To Calvary” e la conclusiva “Da Vinci's Code”. A riequilibrare il piatto della bilancia ci sono però altri cinque brani di buona fattura: “Hark The Herald”, “Calling On All Heraldic Beasts”, “Bash The Bishop”, “Axe Wielding Nuns” e “Jaque De Molay”. Tra questi particolarmente interessanti sono la cupa “Jaque De Molay”, la cui melodia non potrà non ricordare agli ascoltatori il “Ballo In Fa Diesis Minore” di Angelo Branduardi, e “Bash The Bishop”, guidata da un basso terribilmente accattivante che, nel complesso della canzone, mi ha portato alla mente (non chiedetemi perché!) addirittura “Wynona's Big Brown Beaver” dei Primus: non che ci siano riferimenti o collegamenti particolari tra i due pezzi, è semplicemente un flavour che me li fa collegare.

Tirando le somme, cosa dire dei Jaldaboath? Sicuramente siamo di fronte a un gruppo simpatico e irriverente, una buona variante per un genere (il folk metal) suonato da tantissimi gruppi con risultati altalenanti. Manca una certa coesione nella proposta dei nostri, assieme ad un più marcato  livellamento per quanto riguarda i pezzi suonati. Tradotto in altri termini, la band deve ancora lavorare sui suoi svarioni umorali ed acquisire una maggiore personalità. I mezzi ci sono, e i cinque brani sopra citati sono qui a dimostrarlo; se poi si considera che questo è il loro debutto, beh, sicuramente il tempo è dalla parte dei Jaldaboath. Chi si avvicina a “The Rise Of The Heraldic Beasts” non deve avere grosse pretese in termini di tecnica o di qualità: il metal festaiolo e scanzonato dei Nostri va preso per quello che è. Solo così la sua atmosfera allegra e spigliata potrà coinvolgervi.




01. Hark The Herald
02. Calling On All Heraldic Beasts
03. Bash The Bishop
04. Seek The Grail
05. Axe Wielding Nuns
06. Jaldaboath
07. Bring Me The Head Of Metatron
08. Jacque DeMolay
09. March To Calvary
10. Da Vinci's Code

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