Vital Remains
Dawn of the Apocalypse

2000, Osmose Production
Death Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 29/03/09

Non poteva esserci un titolo migliore per un disco del genere. Dawn of the Apocalypse racchiude in una manciata di parole quello che i Vital Remains hanno riversato in questo album, un senso di implacabile di violenza e cattiveria che prelude a qualcosa a cui nessuno può sottrarsi. La copertina sembra darci giusto un fermo immagine di quello che ci attende in questo lungo cammino segnato da demoni, visioni angoscianti e rassegnate ad una forza superiore pronta a travolgere tutto e tutti.

Questa è a mio avviso la caratteristica principale della musica dei mai troppo lodati Vital Remains, la capacità di saper evocare sensazioni disturbanti grazie a un uso del death metal non comune a tutte le band della scena. Un approccio evocativo e maestoso, la ricerca di un significato più profondo del "semplice" brutal death a cui siamo abituati, attraverso un songwriting originale, ricco, teatrale, come a voler creare in ogni brano un capitolo a sé stante in cui i vari frangenti si susseguono alternando ferocia ed espressività in maniera esemplare, andando a creare delle piccole opere in cui l'inizio, lo svolgimento tempestoso, e il finale si amalgamano alla perfezione. Tutto questo senza perdere di vista la radice death che anima i Vital Remains, che, nonostante tutto il significato intrinseco che si può ricercare nella loro musica, propongono un monolite pesantissimo sotto tutti i punti di vista; Dawn of the Apocalypse è estremo nella musica, un death metal a tratti particolarmente brutale -che strizza comunque un occhio anche alle sonorità del vecchio continente nei momenti più "melodici"-, estremo nei contenuti, che vanno ben al di là del semplicismo delle tematiche anticristiane -come la cover lascia supporre-, ed estremo nella durata, un'ora scarsa di assalti frontali e aperture evocative che non danno tregua in alcun modo.

Dawn of the Apocalypse è uno di quei dischi che purtroppo non raccolgono in termini di "popolarità" quanto meriterebbero. Infatti questo lavoro non ha niente da invidiare a tanti capolavori del genere e neppure all'acclamato splendido seguito Dechristianize. Del resto quando non si ha la produzione stellare dei Morrisound Studios, la spinta mediatica che comporta un nome importante come Glen Benton e l'apporto della Century Media è difficile riuscire ad emergere. Per questo mentre ascolto la struggente strumentale Came No Ray of Light e sento vibrare la parte più profonda di un grandissimo musicista come Dave Suzuki, mi lascio trasportare in un misto di rabbia, rassegnazione e consapevolezza che la bellezza di alcune opere risiede anche nell'essere quasi esclusivamente nell'ombra, pronte a regalare solamente a chi lo volesse momenti di classe e passione che nessuna cosa al mondo riuscirebbero altrimenti a ripagare.

Senza troppi giri di parole questo è un disco incredibile, brutale, raffinato, ricco e profondo, in cui le qualità del polistrumentista Suzuki e di Tony Lazaro vengono espresse in modo schietto, arrivando subito al nodo della questione senza ricorrere a tecnicismi inutili. Riff ora impetuosi, ora morbosamente cadenzati, chitarre lanciate in numerosi assoli pregevolissimi e in break acustici ricchi di pathos, come nella splendida title-track, Dawn of the Apocalypse, sempre pronte a ripartire con rinnovata violenza e ispirazione. Un martellamento continuo che vede anche una prova degna di nota del singer Thorn (efficacissimo nelle variazione growl/scream) potente ed espressivo, e ancora una volta di Suzuki alla batteria, con uno stile semplice ma a dir poco devastante. Con queste armi affilatissime si susseguono macigni come l'oscura Black Magick Curse -al primo ascolto mi era sembrato incredibile constatare arrivato alla fine del disco, che questa traccia fosse la meno bella dei brani presenti...-, l'imponente Sanctity in Blasphemous Ruin, con uno stacco centrale da brividi lungo la schiena, o la ferocissima Flag of Victory. Tutte canzoni meritevoli, ognuna dotata di un particolare mood da renderle uniche e imprevedibili, esplosioni di violenza (Behold the Throne of Chaos) e di malignità (Societe des Luciferiens), che nonostante la lunghezza media decisamente abbondante non annoiano, anzi, acquistano fascino progressivamente.

A mio avviso Dawn of the Apocalypse è per certi versi meglio anche del più famoso e lodato successore Dechristianize. Trovo questo disco infatti più profondo, leggermente più vario e meno "pompato" dell'ultima fatica dei Vital Remains, più viscerale e sentito delle superproduzioni e dei filtri vocali di Benton. E dico questo pur amando incredibilmente Dechristianize, quindi un ulteriore attestato di stima nei confronti di Dawn of the Apocalypse, un album che è un dovere morale per tutti gli appassionati andare a scoprire e apprezzare.



1. Intro

2. Black Magick Curse

3. Dawn of the Apocalypse

4. Sanctity in Blasphemous Ruin

5. Came No Ray of Light

6. Flag of Victory

7. Behold the Throne of Chaos

8. The Night Has a Thousand Eyes

9. Societe des Luciferiens

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