Ulan Bator
Tohu-Bohu

2010, Acid Cobra
Post Rock

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 17/11/10

Vorrei chiarire immediatamente che il sottoscritto, mediante la stesura del presente articolo, non intende affatto sminuire l’importanza degli Ulan Bator, mitica creatura musicale – per una fetta consistente di stampa e pubblico – nata dalla mente di Amaury Cambuzat. Troppo ricco, difatti, il curriculum vitae di una band assurta a simbolo di una certa forma estremamente particolare di post-rock - una deviazione di genere totalmente votata alla denuncia socio-politica - e questo, attesissimo, “Tohu-Bohu” non tradisce minimamente la linea artisica della band, visto che il tema portante del disco è la confusione che governa il mondo: dai rapporti umani “deviati” dai social network, ad una politica globale ritenuta non aderente alla realtà concreta in cui viviamo, passando nel mezzo alla religione che alimenta il caos, piuttosto che la speranza di un domani migliore.

Cambuzat, quindi, non usa il post-rock per dipingere paesaggi emotivi attraverso l’uso di note dilatate, ma usa i tempi e lo svolgimento tipico del genere per scrivere racconti di cronaca e, allo scopo, adatta il suo timbro vocale appiattendolo quasi fosse la lettura di un articolo di giornale. La cosa è talmente estrema, che la si ama o la si odia. Non vi nascondo che, per quanto mi riguarda, di appartenere alla seconda schiera, e sono molteplici i motivi che mi portano a ritenere fondamentalmente fallimentare la riuscita di questo disco. Lasciate che mi spieghi.

Innanzitutto, ritengo che le “storpiature” alternative rock di cui il disco è ripieno siano un’inevitabile conseguenza dovuta al registro del racconto, e questo mi porta a dire che certe atmosfere alla Tool (“Speakerine”, ad esempio) riescono decisamente meglio alla band di Maynard James Keenan. Quindi, lo svolgimento dei vari pezzi è terribilmente asciutto, asettico; l’unico guizzo emotivo che si riscontra nel disco lo si avverte nella conclusione di “Donne”, dove il romanticismo pare fare capolino come una sorta di luminosa speranza finale, un augurio per un futuro più radioso rispetto alla foschia attuale raccontata dal Francese. Infine, la maturata consapevolezza, dopo ripetuti ascolti dell’opera, che l’album sia unicamente destinato a chi è già fan della formazione, non sono ammessi casual listeners qui, poiché essi semplicemente non potranno trovare alcun motivo di interesse in una musica tanto élitaria da risultare, in effetti, un poco pretestuosa.

La naturale conclusione, quindi, non può che essere la seguente: se siete fan degli Ulan Bator, questo disco lo avete aspettato ben sei anni, e lo fagociterete senza alcun problema ricavandone un grosso carico di soddisfazione; viceversa, difficilmente riuscirete ad apprezzare quest’opera, per quanto simpatizzanti nei confronti del genere possiate essere. Per quanto mi riguarda, l’unica sensazione che ho provato nell’ascolto del disco è un senso di soffocante noia derivato proprio dallo scarso potere di convincimento posseduto da quest’opera, e questo non può essere affatto ignorato e giustifica il voto che vedete poco più sotto. Fermo restando, e ci tengo a ribadirlo, le dovute premesse effettuate all’inizio della recensione.



01. newgame.com
02. Speakerine
03. Regicide
04. R136A1
05. Missy & The Saviour
06. A T
07. Mister Perfect
08. Ding Dongue Dong
09. Tohu-Bohu
10. Donne

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