Come ben sapete, lo stile di Malmsteen è molto ricco ed elaborato, caratterizzato da un susseguirsi di note a velocità spaventosa. Il tutto, eseguito con rara padronanza e precisione. Questo è il suo marchio di fabbrica: che piaccia o meno, è fuori discussione che sia un bravo musicista o meno. Anche se è certamente plausibile che non possa piacere ed annoiare. Ora, nella sua ultima fatica, è ovvio ed evidente che non mancheranno episodi in cui il virtuosismo raggiungerà picchi spaventosi. In più di sessanta minuti, il Nostro dà vita a momenti epici e ricchissimi di velocità, come in "Into Valhalla", un bel brano contornato da suggestivi cori in sottofondo, che accompagnano la fedele Fender del chitarrista. Un'altra sua caratteristica praticamente intatta è questo continuo rimando alla musica classica. Non di rado ho avuto la sensazione di aver già sentito questo o quel fraseggio eseguito in altri tempi con il clavicembalo o con il violino. Immancabile a questo punto è l'"Adagio B Flat Minor Variation". Sembra quasi un'abitudine dei chitarristi tecnicamente dotati pagare un omaggio alla musica classica, proponendo un movimento, un adagio reinterpretato in chiave rock o metal. Un brano molto carino e dalle atmosfere un po' surreali e quasi distorte è "Knight Of The Vasa Order", che mi ha colpito per la maestosità, ma anche per questo effetto un po' straniante dei suoni.
Tuttavia, è bene dire che se "Relentless" fosse stato un album unicamente votato alle tracce strumentali ed ai virtuosismi, senza dubbio sarebbe stato più colmo di momenti retorici e di autocelebrazioni - che, visto il personaggio, comunque non mancano mai. Invece, grazie alla collaborazione del bravo cantante Tim "Ripper" Owens, in più di un brano si riescono a respirare atmosfere votate più all'heavy metal, come nella travolgente "Critical Mass", od alla bellissima "Enemy Within", che con quel coro di "Kyrie Eleison" ha un tocco decisamente solenne ed epico. Qui, il buon Yngwie riesce a tirare fuori una bella alchimia con il resto dei musicisti, e, pur rimanendo l'indiscusso protagonista del suo disco, mette in risalto anche le qualità del bravo vocalist statunitense, che dà una bella prova delle sue abilità. Lo ammetto candidamente, il brano "Blinded" mi ha ricordato quanto Ripper Owens fosse adatto a cantare nei Judas Priest al posto di Rob Halford, per quanto sia affezionata al Metal God.
Insomma, non c'è molto altro da dire circa il diciottesimo lavoro del grande Yngwie Malmsteen. Per fortuna, è un lavoro dal buon equilibrio, tra virtuosismi e momenti un po' meno dispersivi, grazie alle parti cantate di Tim Ripper Owens, riesce a regalarci anche del buon heavy metal grintoso ed energico. Non che ci sia niente di tremendamente nuovo o sconvolgente nello stile, ma è un piacere percepire tra le note, ancora una passione molto forte per la musica e la propria chitarra da parte dello svedese. Anche se in fondo, concedetecelo, un pochino forse si ripete.