Alice Cooper
Along Came A Spider

2008, SPV
Hard Rock

Nuovo disco per Alice Cooper, compatto, deciso, moderno anche se non del tutto riuscito.
Recensione di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 28/03/09

Venticinquesimo album da studio e trentanovesimo anno di attività (il debutto "Pretties For You" è infatti del ’69): numeri impressionanti. Alice Cooper è longevo come il suo amico Ozzy Osbourne e "Along Came A Spider" l’ennesima dimostrazione che il rock non muore mai, nemmeno se attualizzato coi suoni moderni e infarcito di effetti sonori, quelli che ai tempi di "Billion Dollar Babies" avrebbero fatto perlomeno scalpore anche se l’attitudine, in fin dei conti, è la stessa. Ciò che un pochino ci mancava, diciamolo, era il suo racconto a sfondo dark, qui racchiuso all’interno di un concept romanzato dalla voce di un serial killer, tale Spider, descritto come uno psicopatico aracnofobico nel pezzo "Catch Me If You Can". Pronti ad oltrepassare la tela del ragno?

"Along Came A Spider" è un disco teatrale, oscuro e con la sua buona dose di rock, un disco che sembra tirare le somme di una lunghissima carriera costellata da grandi successi, un lavoro che raccoglie i tratti distintivi del controverso cantante statunitense e li traduce in una serie di buoni brani dalla qualità un po’ altalenante (dimenticatevi i vecchi capolavori), ma nel complesso piacevoli e adatti per trascorrere un’oretta assieme ad una delle rock star più amate del vecchio e del nuovo secolo. C’è anche qualche ospite illustre: il già citato Ozzy Osbourne ha suonato l’armonica e steso insieme ad Alice Cooper e Denny Saber la terza "Wake The Dead", non una delle migliori in tutta onestà, mentre Slash ha messo del suo nell’assolo di una delle tracce più riuscite, "Vengeance Is Mine". Quanto al resto, difficile restare fermi sul riff a tutto rock di "Wrapped In Silk", impossibile restare in silenzio sul ritornello di I’m Hungry; e c’è spazio anche per la nostalgia di "Killed By Love", power ballad derivativa ma dal fascino indiscutibile. Da segnalare l’acustica piuttosto vintage su una produzione ultra moderna e ultra costosa, pollice verso, infine, per il suono “plastificato” della chitarra elettrica solista.

Un grande autore con lo spirito da vero rocker, un album in se gradevole ma oggettivamente lontano dai fasti di un’epoca che non c’è più. Alice Cooper si lascia sedurre da se stesso e cerca di riportare in auge un discorso aperto e chiuso con i vari "Billion Dollar Babies", "Brutal Placet", abbinandoli a liriche stile "Welcome To My Nightmare": ci riesce? Solo in parte: evitate di rievocare i fantasmi del passato e cercate di non restare intrappolati nella tela, a noi va bene così.




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