Infection Code
Fine

2010, NewLM Production
Postcore

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 09/12/10

Quinto album per gli italiani Infection Code. “Fine” rappresenta, a detta della band, l'inizio di una nuova fase nella carriera dei nostri, il primo passo verso la corsa alla sperimentazione e verso nuovi confini musicali.

Al netto dei toni roboanti che accompagnano il disco, dobbiamo però registrare che le intenzioni degli Infection Code si scontrano con un risultato non propriamente soddisfacente. Certo, “Fine” è un album difficile, non per tutti, che non vuole allietare gli ascoltatori, cercando continuamente una dimensione lisergica e oscura, ma non per questo può esimersi da alcune critiche di base. Innanzitutto sperimentare significa anche arrivare a fare, prima o poi, un punto della situazione, cioè arrivare in un momento in cui tutta la difficoltà dell'ascolto viene ripagata da un'esplosione emotiva, da un passaggio illuminante, da soluzioni a effetto, insomma qualcosa in grado di far crescere il disco con gli ascolti. Questo purtroppo non avviene in “Fine”, presentando brani coraggiosi ma troppo poco profondi, forse anche “canonici” nella loro ermeticità.

Sì perché durante l'ascolto di “Fine” non si fatica a fare un salto mentale a una delle band più geniali degli ultimi dieci anni (o forse di sempre), ovvero i Neurosis, maestri nel districarsi in territori dove facilmente si può passare dall'estasi alla “noia”. Purtroppo gli Infection Code si avvicinano pericolosamente alla seconda delle ipotesi, alternando brani dal sentore industrial, “Varnish”, ad altri più convenzionali, come “All Colours”, “Collpase Of The Red Side”, passando per monoliti come “Grey”, senza mai graffiare, in cui le tensioni postcore della band non vengono adeguatamente supportate. Cosa servirebbe? Difficile dirlo, coraggio non di sicuro. Maggiore ispirazione, una voce decisamente più malata e rabbiosa, migliore sintesi di tutte le idee e influenze.

Del resto, il territorio battuto dagli Infection Code ha pochi canoni imprescindibili, si gioca tutto (o quasi) sul filo sottile della sensibilità, del trasporto, della profondità... E per fare questo bisogna davvero sapere dove andare a parare, non basta essere buoni musicisti. Peccato, per ora rimandati.



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