Tengo in mano la copertina di "Garaje O Muerte" e la giro sulla quarta: “Mundialmente conocidos,” recita una scritta in alto “Chamanes del garaje sixtie punk sudamericano ellos son: Los Peyotes”. Più in basso, le foto dei cinque componenti della band, con i nomi e gli strumenti suonati: Oscar Hechomierda, Bajo Fuzz y Gritos; Pablo Bam Bam, Bateria y gritos; David Peyote, Voz Maracas y Sentimiento; Juan Roman Lemons, Organo Farfisa y Coros; Rolando Bruno, Guitarra Fuzz y Coros.
Una cosa mi è dunque subito chiara, ancor prima di aver iniziate ad ascoltare il disco: i cinque argentini non hanno alcuna intenzione di essere presi sul serio. I loro nomi idioti, il fatto che abbiano sentito la necessità di indicare come strumento suonato i “Gritos”(le grida), mi fa quasi venir voglia di decretare “Garaje O Muerte” come capolavoro senza nemmeno ascoltarlo. L’album, il secondo della band, è un pot-pourri molto ben assortito di richiami garage ed irriverenza punk. La prima cosa a colpire, è senza dubbio il suono: se non è stato registrato in presa diretta, è stato sicuramente registrato in modo che sembrasse il più possibile registrato in presa diretta. La prima traccia, la title-track, è tenuta in piedi dall’organo farfisa, che a volte sembra quasi voler coprire tutto il resto. Il ritmo è forsennato, ricorda vagamente alcuni pezzi di revival ska anni 70, (“Little Bitch” degli Specials, ad esempio.) ed è un’autentica dichiarazione d’intenti da parte della band, che affida alla voce molto poco ben educata del cantante, il proprio messaggio sconvolto al mondo. I primi due minuti del disco, quindi, confermano l’idea che mi ero fatto tenendo in mano la copertina: si tratta di divertimento puro, disimpegnato e rabbioso.
L’essenza di ciò che si definisce garage, il punto di partenza per ogni gruppo garage che si rispetti, è la cover come stile di vita. I massimi esponenti di questo genere hanno fatto dell’uso di canzoni altrui un felice marchio di fabbrica. Los Peyotes ci tengono a dimostrare di non esser da meno, e propongono, come seconda traccia, una molto ben riuscita traduzione di “No Friend Of Mine”, uno standard garage portato al successo dagli Sparkles, uno dei gruppi a cui la raccolta Nuggets ha dato il giusto e dovuto riconoscimento come ispiratori dello spirito punk. “Vos No Sos Mi Amigos”, non si discosta molto dall’originale: è semplicemente più cattiva, estremamente più grezza e decisamente più punk. I cinque argentini dimostrano, con questa canzone, come sia possibile mettere in luce le proprie abilità e dar voce alle proprie istanze, anche riproponendo canzoni di altre band. E’ questa la “essenza garage” di cui parlavo poco fa: la capacità, cioè, di impossessarsi dei suoni, di incorporare le canzoni, al punto di non fare più alcuna distinzione tra quelle scritte di proprio pugno e quelle prese dal proprio bagaglio musicale. Tutto appartiene ai Peyotes, in parole povere, a patto che sia suonato nello spirito Peyotes; che poi le parole e la musica siano scritte da Hechomierda o da Glenn Miller, poco importa.
Bene, molto bene, direi; soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui le cover sono viste malissimo, il coraggio di impossessarsi di musica altrui va sicuramente apprezzato in un genere come il garage punk, che senza cover non sarebbe mai nemmeno nato (immaginatevi, per esempio, i Sonics senza Little Richard o senza Rufus Thomas.). L’atmosfera “Sixties” e la sguaiatezza punk rock si sposano divinamente in questo disco, è come se gli Animals e i Ramones si fossero ritrovati in studio per fare un disco insieme. I pezzi più degni di nota, oltre i due già citati, sono sicuramente “El Feo”, un rhythm’n’blues suonato come se fosse hard rock, lanciato ad una velocità allucinante e gridato smodatamente, “Rebelde”, un tipico ballabile in stile beat anni sessanta, l’unico pezzo in cui la band dimostra un minimo interesse per questioni di dinamica, tanto che l’onnipresente farfisa riesce a stare zitto per ben cinque secondi), “Clavame En La Cruz”, un pezzo in cui i cinque toccano picchi quasi hardcore, anzi, decisamente hardcore e “Peyoteando Con Ayahuasca” una dichiarazione d’amore al Sudamerica. Atmosfere andine guidano l’ascoltatore attraverso i viaggi psichedelici del farfisa e della chitarra. L’Ayahuasca, per chi non lo sapesse, è una pozione preparata dagli sciamani peruviani per guidare chi lo assume in un viaggio all’interno del proprio subconscio. Leggere “Le Lettere Dello Yage” di Allen Ginsberg e William Burroughs per maggiori informazioni. Segnalo inoltre “Bdaaa!”, la quintessenza del garage: il ritmo ricorda molto la versione più conosciuta di Louie Louie , quella dei Kingmen. Diciamo una versione decisamente allucinata della detta canzone.
Quello che va detto, a proposito di questo disco, è che si tratta senza dubbio di un lavoro discreto: in esso riecheggia costantemente la smisurata cultura musicale del gruppo, che sembra trarre ispirazione da tutte le anime dell’universo garage degli anni sessanta, a partire dalla chitarra sempre in fuzz (decisamente influenzata dai lavori degli Os Mutantes e del primissimo Caetano Veloso). Il problema, però, è che i Peyotes sembrano avere ereditato, da quell’universo che ho nominato anche troppe volte, anche tutti i limiti. Si tratta, infatti, di un disco estremamente disorganizzato, con canzoni pressappoco tutte uguali e pochi veri colpi di genio, poche vere idee brillanti e nuove. In breve, volendo essere a tutti i costi garage, volendosi “etichettare” come garage, sembrano aver dimenticato lo spirito che aveva guidato quelle band alle quali si rifanno continuamente: lo spirito, cioè, dell’innovazione. Questo disco, pur essendo un ottimo prodotto, rischia di apparire ai più come una mera scimmiottatura di altri dischi e i Peyotes, con le loro buffe capigliature a caschetto e il loro voler essere dei personaggi “beat”, rischiano di sembrare dei semplici imitatori.
Non riesco a dare un’insufficienza a “Garaje O Muerte”, perché non sarebbe affatto giusto, ma credo che con tanto talento si possa fare molto di più. Vi sono gruppi, infatti (Black Lips e Chesterfield Kings su tutti.), che pur rimanendo fedeli al suono “grezzo” e “arrabattato” del Garage, sono riusciti ad offrire spunti nuovi ed originali, perlomeno ai cultori del genere. I Peyotes sembrano non aver capito che c’è una grandissima differenza tra suonare nei locali e nei circoli e fare un grandissimo show e fare un disco. “Garaje O Muerte” sarebbe uno dei migliori show dal vivo immaginabili, ma di sicuro non è un grande disco.
Los Peyotes
Garaje O Muerte
2010, Dirty Water Records
Garage Rock
01. Garaje P Muerte
02. Vos No Sos Mi Amigos
03. Connection
04. La Cicatriz
05. Pintalo De Marron
06. Rebelde
07. Clavame En La Cruz
08. It’s Allright
09. El Feo
10. Chacalòn
11. Peyoteando Con Ayahuasca
12. Maquilla Tu Mente
13. Bdaaa!!!
14. 96 Làgrimas
15. Fuera De Mi Cajòn