The Fugs
The Fugs First Album

1966, ESP Disk
Folk Rock

Recensione di Nicola Gospel Quaggia - Pubblicata in data: 04/03/11

Il titolo originale di questo disco, da solo, dovrebbe bastare a mettere in guardia gli ascoltatori, anche i più smaliziati: "The Village Fugs Sing Ballads of Contemporary Protest, Points of Views, and General Dissatisfaction". Ristampandolo nel 1966 (il gruppo aveva infatti rotto con la Folkway Records, che aveva pubblicato la prima versione dell’album appena un anno prima),  la ESP Disk ebbe la splendida idea di semplificare il titolo del lavoro, traducendolo nel commercialmente più accattivante "The Fugs First Album".
 
Il cambio di titolo non permise in ogni caso ai newyorkesi di scalare le classifiche, e c’era sicuramente da aspettarselo. I Fugs furono, infatti, una delle poche e fortunate compagini della storia della musica in grado di avvalersi del titolo di “Indipendenti” senza risultare ridicoli o pretenziosi. Non vi è nulla di commercialmente valido in questo disco. Le dieci tracce del ’66 e le undici bonus tracks del ’93 sono quanto di più rozzo, cruento, sacrilego e politicamente scorretto ci si possa aspettare da una rock-band. Il progetto Fugs (perché di progetto, più che di band, si deve parlare) nacque nel 1964 dall’idea di due attivisti pacifisti parecchio attempati: il giornalista quarantatreenne Tuli Kupferberg e il poeta di trentadue anni Ed Sanders. I Fugs videro la luce in quel calderone di idee, poesia beat, avanguardie artistiche e politiche che era il Greenwich Village di Manhattan di metà anni ’60, avvalendosi spesso dell’aiuto e della collaborazione di diversi musicisti del giro del Village nei loro show dal vivo che erano un autentico pot-pourri di droga, suoni esotici, retorica politica, sesso, volgarità.

Il principale intento dei Fugs, fu quello di arrivare a colpire “il sistema” attraverso armi non convenzionali: canzoni che saltavano, senza soluzione di continuità, dal free-form, all’invettiva politica filo maoista, passando per resoconti molto dettagliati di esperienze con le droghe e testi decisamente pornografici. L’intento era dunque quello di scandalizzare il pubblico, senza preoccuparsi eccessivamente dell’esecuzione dei brani. Gli arrangiamenti di questo "First Album", sono interamente lasciati in balia degli umori, delle perversioni, della follia dei musicisti. Il risultato è sorprendentemente piacevole: nonostante tutto il disordine, nonostante l’immagine volutamente e quasi ideologicamente caotica che il gruppo vuole dare del proprio lavoro, a uscire fuori, da questo loro lavoro, è il puro divertimento. E’ difficile da spiegare come sensazione, ma questi debosciati (da intendersi come complimento) sembrano innanzitutto divertirsi mentre suonano e non si può far altro che lasciarsi coinvolgere dall’atmosfera del disco. Parlando in termini strettamente musicali si tratta di canzoni piuttosto semplici e facilmente assimilabili da chi ascolta. Riprendono temi universalmente noti, rock’n’ roll in stile Bobby Fuller o Eddie Cochran (“Slum Goddess” e “Supergirl”), atmosfere da campo di lavoro forzato del Mississippi (“Ah, Sunflower Weary of Time”, peraltro il testo di questa canzone è nientemeno che dell’immenso poeta del XIX secolo inglese William Blake) e usano questi temi come punto d’appoggio per tutta la loro violenza comunicativa.

Non sarà difficile, per chi tra voi ha una qualche nozione di Captain Beefheart e del primissimo Frank Zappa, riconoscere nei Fugs i padri spirituali e concettuali di un certo modo di fare musica. Non voglio spingermi così lontano da dire che senza un pezzo come “Swinburne Stomp” non avremmo avuto “Absolutely Free” di Zappa o “Trout Mask Replica” di Beefheart; sia Zappa che Beefheart, seppur in modi diversi, avevano sicuramente una padronanza  ed una conoscenza della musica incommensurabilmente più vaste di quanto i Fugs potessero anche solo immaginarsi, ma lo spirito che pervade questo disco deve sicuramente avere influenzato quei due giganti, quei due monumenti alla creatività musicale. Il maggior merito dei Fugs fu quello di allontanare il rock’n’roll dallo show business: questo disco e i loro successivi lavori, risuonano alle nostre orecchie come uno strabiliante ed estremo tentativo di strappare la musica dalle fauci onnivore del mercato e della “società dello spettacolo”, di allontanare, cioè, la produzione musicale dai diktat delle case discografiche e delle stazioni radiofoniche per restituirle tutta la purezza e l’indomabile violenza di tutti gli istinti umani, anche i più bassi.

Non mi piace assegnare primati e palme, non mi va di dire che i Fugs furono il primo gruppo punk della storia (nessuno potrebbe dire questo di nessun gruppo), di certo, però, furono tra i primi a lanciare un messaggio molto chiaro al loro pubblico e ai potenziali musicisti annidati tra quel pubblico: “Guardate, ragazzi,” suona più o meno così il messaggio “quei caproni di discografici vogliono dirvi come suonare, cosa suonare, per chi suonare. Guardate noi. Prendete esempio da noi. Mandate quelle bestie a farsi benedire, fate quello che vi passa per la testa. Il risultato sarà divertente, molto divertente”. E’ la costante ed inspiegabile sensazione di “voler esser stati là con loro mentre registravano” a rendere questo disco un capolavoro; i Fugs riescono a coinvolgere chi ascolta fino a questo punto, facendolo veramente sentire parte del baccanale in atto, facendogli sentire e respirare l’atmosfera, alle volte anche lurida, che il gruppo stesso respirava e sentiva in studio di registrazione.

Pochi sono i dischi in grado di comunicare tanto, ed è per questo motivo che questo primo album dei Fugs dovrebbe far parte della vostra collezione, dovreste, dirò di più, metterlo a fianco di grandi capolavori come il già citato “Trout Mask Replica” o “Go Girl Crazy” dei Dictators: farebbe la sua degna figura, nel modo più indegno che vi possiate immaginare.



01.Slum Goddess (Ken Weaver)

02.Ah, Sunflower, Weary Of Time

03.Supergirl

04.Swinburne Stomp

05.I Couldn't Get High

06.How Sweet I Roamed

07.Carpe Diem

08.My Baby Done Left Me

09.Boobs A Lot

10.Nothing

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