A volte per assaporare delle grandi emozioni ascoltando un album, non è necessario scomodare i grandi nomi della musica, anzi, spesso dietro a nuove proposte o a musicisti di nicchia, si nascondono importanti sorprese musicali. Questo è quanto accaduto ascoltando "The Jellyfish Is Dead And The Hurricane Is Coming", opera prima degli italianissimi (di Ravenna) Herba Mate.
Eppure mai avremmo pensato che l'album in questione fosse l'esordio assoluto di una band nostrana: sia chiaro, nessuna preclusione in merito, ma sin dal primo ascolto l'idea era quella di una band con una certa esperienza alle spalle, magari proveniente dalla California... nulla di tutto questo! Anche la genesi di questo album è tutta particolare: nel settembre del 2008 questi tre ragazzi si chiudono (è proprio il caso di dirlo) in un casolare sperduto, denominato Sputnik Studio, sui monti sopra Predappio e in tre giorni e due notti registrano i suoni in presa diretta. L'editing ed il mixaggio invece avvengono nei mesi successivi a Bologna, dove l'album vede la luce autoprodotto dalla band stessa. Detto questo ci si aspetta un album crudo, ruvido nei suoni e magari anche un po' grezzo: nulla di tutto questo! Ma cosa ci suonano gli Herba Mate? Questo interessante trio nostrano si rifà alle sonorità di band quali Kyuss, Queens Of The Stone Age e Fu Manchu, ma con capacità compositive che rendono le loro sonorità decisamente fresche ed originali, mostrando una maturità da veterani e soprattutto facendo capire di avere ben chiare le loro idee musicali.
I brani sono decisamente lunghi, molti dei quali interamente musicali, con riff di chitarra accattivanti che strizzano l'occhio alla psichedelia e, complici i cambi della sezione ritmica, catturano ed al tempo stesso creano un senso di spaesamento nell'ascoltatore. E forse è proprio questa l'arma in più del trio romagnolo: una proposta varia, non scontata, melodica ma dalla non facile presa, che però cattura l'ascoltatore e lo accompagna in un viaggio musicale affascinante ed enigmatico. Proprio per questo sarebbe un errore evidenziare un brano piuttosto che un altro: l'album è un viaggio che deve essere intrapreso dall'inizio alla fine, senza preclusioni, lasciandosi guidare dalla musica. Se però volete un brano che possa erigersi a simbolo del sound degli Herba Mate, allora ascoltate con cura ed attenzione "Sputnik", song che chiude magistralmente la release.
Cos'altro dire se non rimarcare ancora il talento di questi tre ragazzi che, amanti di sonorità decisamente lontane dall'italica tradizione musicale, si sono lanciati in un viaggio che li ha portati a rielaborare in parte quelle stesse influenze da cui erano partiti; il risultato è decisamente rilevante, non resta che augurare agli Herba Mate di continuare questo loro viaggio sugli stessi binari da cui è iniziato.
Eppure mai avremmo pensato che l'album in questione fosse l'esordio assoluto di una band nostrana: sia chiaro, nessuna preclusione in merito, ma sin dal primo ascolto l'idea era quella di una band con una certa esperienza alle spalle, magari proveniente dalla California... nulla di tutto questo! Anche la genesi di questo album è tutta particolare: nel settembre del 2008 questi tre ragazzi si chiudono (è proprio il caso di dirlo) in un casolare sperduto, denominato Sputnik Studio, sui monti sopra Predappio e in tre giorni e due notti registrano i suoni in presa diretta. L'editing ed il mixaggio invece avvengono nei mesi successivi a Bologna, dove l'album vede la luce autoprodotto dalla band stessa. Detto questo ci si aspetta un album crudo, ruvido nei suoni e magari anche un po' grezzo: nulla di tutto questo! Ma cosa ci suonano gli Herba Mate? Questo interessante trio nostrano si rifà alle sonorità di band quali Kyuss, Queens Of The Stone Age e Fu Manchu, ma con capacità compositive che rendono le loro sonorità decisamente fresche ed originali, mostrando una maturità da veterani e soprattutto facendo capire di avere ben chiare le loro idee musicali.
I brani sono decisamente lunghi, molti dei quali interamente musicali, con riff di chitarra accattivanti che strizzano l'occhio alla psichedelia e, complici i cambi della sezione ritmica, catturano ed al tempo stesso creano un senso di spaesamento nell'ascoltatore. E forse è proprio questa l'arma in più del trio romagnolo: una proposta varia, non scontata, melodica ma dalla non facile presa, che però cattura l'ascoltatore e lo accompagna in un viaggio musicale affascinante ed enigmatico. Proprio per questo sarebbe un errore evidenziare un brano piuttosto che un altro: l'album è un viaggio che deve essere intrapreso dall'inizio alla fine, senza preclusioni, lasciandosi guidare dalla musica. Se però volete un brano che possa erigersi a simbolo del sound degli Herba Mate, allora ascoltate con cura ed attenzione "Sputnik", song che chiude magistralmente la release.
Cos'altro dire se non rimarcare ancora il talento di questi tre ragazzi che, amanti di sonorità decisamente lontane dall'italica tradizione musicale, si sono lanciati in un viaggio che li ha portati a rielaborare in parte quelle stesse influenze da cui erano partiti; il risultato è decisamente rilevante, non resta che augurare agli Herba Mate di continuare questo loro viaggio sugli stessi binari da cui è iniziato.