Tre band fondamentali per il genere suddetto e legate da avvenimenti storici ed intricati, nonché pesantemente presenti nelle sonorità proposte dalla band in questione. Si può dire tranquillamente che il predecessore, l'omonimo "Voodoo Circle", era più grintoso e sicuramente più sfacciato. Sia chiaro, però, che il full-length qui analizzato non è affatto brutto: manca solo di quel coraggio e di quella ventata fresca di innovazione che poteva renderlo un album molto buono a tutti gli effetti. Insomma, manca un po' la personalità, soffocata dalle ombre ingombranti dei mostri sacri dell'hard rock, ma d'altro canto, non potevamo aspettarci nulla di diverso da questo quintetto. Occorre quindi prendere il disco, farlo partire e lasciare che scorra con leggerezza e spensieratezza. Tra puri filler e brani trascurabili, spicca l'opener "No Solution Blues", che ha fatto ben sperare per un album più ispirato e ricco, od anche la ballad "Blind Man", che deve parecchio alla band di Jon Lord, Ritchie Blackmore e soci. Sicuramente emerge anche la decisa "When Destiny Calls" e la blueseggiante e graffiante "Devil's Daughter". Piacevole, ma francamente un po' piena di cliché la trascinante "Don't Take My Heart".
A conti fatti, questo "Broken Heart Syndrome" non è un album brutto, tutt'altro: presenta una produzione pregevole e di qualità che ha saputo curare ogni dettaglio, i musicisti comunque fanno il loro onesto lavoro; tuttavia, gran parte di questi brani all'ascoltatore ed all'estimatore dell'hard rock sembreranno senza dubbio ripetitivi e già sentiti altrove, in altri tempi e decenni. Il consiglio che vi viene dato è di ascoltarlo con leggerezza, senza troppe aspettative, altrimenti, la delusione arriverà abbastanza cocente.