In Flames
Lunar Strain

1993, Wrong Again Records
Death Metal

Recensione di Lorenzo Brignoli - Pubblicata in data: 29/03/11

Nel lontano 1990 il chitarrista di un gruppo molto apprezzato nella scena underground svedese mette insieme un side project, pare per poter sfogare le sue pulsioni più melodiche ed evitare così di snaturare il sound della sua band “principale”. Dopo qualche tempo però decide di abbandonare quest’ultima per concentrarsi sull’altra band, con la quale nel 1994 pubblica il primo album, nonostante il gruppo non abbia un cantante ed i ragazzi siano costretti a chiederlo in “prestito” ad una band di amici. Se non siete invasati di melodic death metal come il sottoscritto, allora forse non sapete che il protagonista della storiella è Jesper Stromblad, la mente degli In Flames (il “side project” di cui sopra), mentre il cantante preso in prestito è Mikael Stanne dei Dark Tranquillity, alla sua prima esperienza “ufficiale” dietro al microfono, visto che all’epoca nella sua band ricopriva il ruolo di chitarrista. Nacque così “Lunar Strain” esordio degli svedesi, band che da quel momento, in poco più di quindici anni, ha venduto due milioni e mezzo di dischi, suonato in tutto il mondo, spesso da headliner, e viene citata come fonte d’ispirazione da una miriade di artisti più giovani.

Quest’album può essere considerato, insieme al successivo mini “Subterranean”, l’embrione del capolavoro dei nostri, “The Jester Race”, una sorta di sua versione più grezza, visto che ne conserva i tratti principali, ma è diverso nei particolari. Come noto, la caratteristica principale che rese unici fin dagli esordi gli In Flames fu l’abbondante inserimento di pezzi folk in buona parte delle canzoni, e, da questo punto di vista, l’asse portante è lo stesso dei lavori successivi; le differenze principali le troviamo ovviamente nella produzione (per forza di cose “sporca”), nel cantato (qui per via delle difformità tra gli stili di Stanne e Frìden), ma soprattutto nel riffing che, nonostante sia riconoscibile un evidente retrogusto melodico, resta il più aspro e furioso di tutta la carriera dei nostri. Il lavoro delle chitarre è inoltre valorizzato proprio dal suo alternarsi con le famigerate parti acustiche: esse danno la marcia in più a questo album, coniugandosi ottimamente con le parti più “metal” del disco, la cui componente “rabbiosa” è invece irrobustita dall’ottima prova di Stanne.

Vengono così alla luce perle quali l’impetuosa “Behind Space”, una delle migliori canzoni degli In Flames, in cui è indimenticabile l’outro folkeggiante, l’ottima “Starforsaken” al contrario introdotta da una parte acustica, le strumentali “Dreamscape” e “Hårgalåten” e la splendida “Everlost”; in particolare quest’ultima è divisa in due parti delle quali la seconda costituisce uno degli episodi migliori della carriera degli svedesi, che mi sentirei di definire commovente, grazie soprattutto alla dolcissima voce di Jennica Johansson. Una tracklist di fatto senza pecche, in cui è difficile vi venga la tentazione di saltare una canzone piuttosto che un’altra: è un disco d’ascoltare tutto d’un fiato, è la prima gemma degli In Flames.



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