Kingdom Come
Rendered Waters

2011, Steamhammer/SPV
Hard Rock

Recensione di Marco Somma - Pubblicata in data: 01/04/11

Certe operazioni hanno la capacità di mettere sempre un po’ di amaro in bocca, certe altre arrivano a scatenare vera e propria rabbia. Fortunatamente nel caso di questo "Rendered Waters" rimaniamo nel primo ambito, anche se un po’ di rabbia a dire il vero la coviamo lo stesso.

Undici tracce delle quali solo tre inedite… Difficile decidere se si tratti di un "best of" formato ridotto o di un Ep formato gigante. Il fatto è che partito il cd  sono partite anche le perplessità. I Kingdom Come fanno parte di quella enorme schiera di band che ha visto un successo sì eccezionale, ma anche piuttosto breve. Non che siano mancate le soddisfazioni negl’anni a seguire o che si sia trattata della classica meteora rock, ma il caso vuole che ci troviamo di fronte alla bellezza di ben otto pezzi tutti ripescati dai primi tre Lp della band, accostati a tre inediti che aggiungono poco o nulla al carniere; con un tracklist cosi è difficile non fare un po’ di conti con il curriculum della band.

Sia ben chiaro che "Rendered Waters" non è un brutto disco, non vedo d’altro canto come potrebbe, ma si fatica a capire quale possa esserne l’utilità se non forse quella di far riscoprire un piccolo pezzo di storia del rock e dare magari un’ultima sferzata alle vendite dei Nostri. Tanto “Can’t Deny”, quanto “The Wind”, ci riportano subito ai vecchi fasti più che giustificati con le loro sonorità decisamente datate ma sempre seducenti, a metà tra AOR e hard rock. L’inedita “Blue Trees” pare però proprio una b-side delle precedenti o al massimo un pezzo riempitivo degl’album di origine dei primi due pezzi. “Should I” era un brano splendido nel 1990 e lo rimane ancora oggi. Un po’ "Kashmir" un po’ "No quarter". Davvero un capolavoro.Ancora più forte l’eco dei Led Zeppelin in “I've Been Trying”, tanto che all’epoca in molti la pensarono un inedito della storica band di Page e Plant. La somiglianza della voce di Lenny Wolf con quella di Robert Plant riesce in effetti ancora a disorientare. Un filo più ruvida, ma la differenza a tratti è veramente sottile. Lo stile poi non lascia alcun dubbio sulla derivazione. “Seventeen” oggi rischia di essere definita politicamente scorretta, fortuna vuole che vide la luce nel lontano 1988. Fortuna anche perché abbiamo avuto più di vent’anni per ascoltarla  bisogna dire che li è valsi tutti. Spiace essere impietosi ma “Is It Fair Enough”, secondo inedito del disco, non migliora di molto quanto fatto dal precedente. Un tantino più interessante ma assolutamente non esaltante. Lo stesso vale per l’ultimo dei tre nuovi arrivati, “Don’t Remember”, gradevole e sicuramente più incisiva delle altre due ma nel mezzo di tanti veri gioielli rimane solo uno zircone di scarso valore.

Rimaniamo con l’amarezza di un’operazione discutibile e un filo di rabbia di chi sperava in qualcosa di più, in qualcosa di nuovo o anche solo in un più ricco, sfacciato e dignitoso "best of" aggiornato al 2011.



01. Can’t Deny

02. The Wind

03. Blue Trees

04. Should I

05. I’ve Been Trying

06. Pushing Hard

07. Seventeen

08. Is It Fair Enough

09. Living Out Of Touch

10. Don’t Remember

11. Break Down The Wall

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