Foo Fighters
Wasting Light

2011, Sony Music
Rock

Anche questa volta Dave Grohl e soci non sbagliano un colpo.
Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 11/04/11

Dave Grohl probabilmente non ha sbagliato mai un colpo da quando ha intrapreso la sua carriera di musicista. Nei primi anni Novanta si fece notare da Kurt Cobain e Krist Novoselic per il suo energico stile alla batteristico, tanto da diventare il batterista dei Nirvana nel giro di breve tempo e, dopo la tragica scomparsa del biondo cantante, riuscì a riordinare le idee e a recuperare alcuni pezzi scritti in precedenza ed a comporne di nuovi per quella band che di li a poco, nel 1995, sarebbe stata conosciuta con il nome di Foo Fighters. A memoria, questi 16 anni sono stati un continuo crescendo sotto ogni aspetto, una evoluzione costante ed impossibile da fermare. Disco dopo disco, concerto dopo concerto, il polistrumentista è riuscito a togliersi di dosso l'importante ed ingombrante passato che lo etichettava come “Quello dei Nirvana”. Con i Foo Fighters è riuscito a crearsi una dimensione artistica completamente indipendente e riconosciuta da tutti per la sua indubbia qualità. Siamo arrivati ad oggi, 2011, siamo giunti a “Wasting Light”, settimo album di inediti della band statunitense.

Sin dal primissimo ascolto si rimane felicemente colpiti dall'intensa energia che l'intera opera riesce a sprigionare: “Bridge Burning” investe l'ascoltatore con una grinta ed una forza impossibili da schivare, è un brano che cattura in tutto e per tutto, davvero azzeccata come opener; l'incipit di “Rope” fa presumere una canzone dai toni meno serrati, ma passa poco tempo e si torna immediatamente su livelli elevati d'intensità e coinvolgimento, praticamente perfetta in ogni sua parte (i break nella seconda metà del brano, l'assolo dissonante che poi si evolve in un susseguirsi adrenalinico di note sono i momenti più elevati). Persino “Dear Rosemary” ed “Arlandria”, che dovrebbero in un certo qual modo attenuare i ritmi, hanno un mordente davvero invidiabile: l'incedere è certamente meno serrato rispetto ai precedenti brani citati, ma l'intensità e l'energia non vengono meno, la passione profusa dal quintetto di Seattle è palpabile e continua a catturare l'ascoltatore in una morsa sonora da cui è impossibile fuggire. In “Wasting Light” persino episodi assolutamente schizofrenici e fuori controllo hanno un fascino difficile da spiegare a parole: come descrivere un pezzo della caratura di “White Limo”, in cui un invasato Dave si esibisce in un continuo screaming, le chitarre di Pat Smear e Chris Shiflett tessono trame ossessive e Taylor Hawkins sfoga tutta la sua furia sulla impotente batteria? Non è possibile, è necessario ascoltare il brano per rendersi conto della sua forza attrattiva.

La seconda metà dell'album è oggettivamente meno aggressiva, ma attenzione: “minore aggressività” non equivale a “minore intensità”. Sono elementi che possono mescolarsi, ma sono essenze completamente differenti. Sia che ci si ritrovi dinanzi alla più pacata “These Days”, sia quando “Back & Forth” ci riporta allo stile Foo Fighters più classico e tipico, sia nel momento in cui gli anni '90 tornano per un attimo in auge in alcuni frangenti di “A Matter Of Time”, è impossibile imbattersi in un qualsivoglia calo di attenzione, il coinvolgimento è sempre ai massimi livelli, e questo è un risultato invidiabile, molto difficile da raggiungere solitamente. L'ascolto è così “naturale”, fluido, emozionante ed appagante che viene spontaneo credere che Grohl siano incapaci di effettuare passi falsi od errori macroscopici. Non sbaglia neppure quando in “I Should Have Know” richiama il suo amico nonché ex bassista dei Nirvana (su di lui, purtroppo, l'etichetta di “ex Nirvana” rimarrà sempre in vista) Krist Novoselic ed azzarda un innesto di archi, ed anzi realizza l'episodio di maggior intensità dell'intero lavoro. Sarà l'inconfondibile stile del bassista, sarà che proprio in questo caso sono presenti contemporaneamente quattro elementi (Grohl, Novoselic, il chitarrista Pat Smear ed il produttore Butch Vig) che hanno vissuto appieno un medesimo e preciso periodo storico – musicale, ma ogni secondo di questo brano trasuda leggere ma inconfondibili gocce di grunge, nota dopo nota, accordo dopo accordo, attimo dopo attimo. Il tutto senza risultare anacronistico, inutilmente nostalgico o che altro.

È stato strano realizzare come questo “Wasting Light” sia così genuino, piacevole, appagante, soddisfacente da ascoltare. Terminata “Walk”, è quasi un bisogno fisiologico premere “Play” ancora una volta e ricominciare l'ascolto. È un disco davvero bello perché non annoia. Bello perché esente da momenti morti. Bello perché trasmette al meglio tutta la passione che i Foo Fighters hanno profuso per realizzare quest'album, confermando ancora una volta che se si hanno i mezzi (la già citata passione ed una creatività che non tutti tuttavia possono permettersi), il rock basato su riff di chitarra ed esente da qualsiasi tipo di elettronica ha ancora molto da dire.




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