Pentagram
Last Rites

2011, Metal Blade Records
Doom

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 06/05/11

I Pentagram sono morti, anzi no, eccoli lì! No, mi sbagliavo, sono morti di nuovo… aspetta aspetta sono tornati!
Si può riassumere comodamente in questa maniera la vita dei Pentagram. Il nome non dovrebbe suonarvi nuovo, per lo meno a coloro che masticano da mattina a sera pane e Doom. Celebre formazione a stelle e strisce nata nell’ormai lontanissimo 1970 giunge dopo ben quindici anni alla pubblicazione del primo omonimo studio album che assieme al secondo disco “Day of Reckoning” permetterà alla band di fare il classico salto verso il successo. I Pentagram infatti sono stati tra i primi ad abbracciare sonorità oscure, pesanti e d’atmosfera (l’influenza dei Black Sabbath è palese) staccandosi in parte dal canonico Heavy Metal, ed andando a creare quello che a oggi tutti conosciamo come Doom Metal.

Ora, tra innumerevoli cambi di formazione, scioglimenti, reunion lampo, dischi altalentanti, album al limite dell’accettabile, problemi di droga - e chi più ne ha più ne metta – i Pentagram tornano nuovamente on the road dopo sette lunghi anni di silenzio assoluto grazie alla Metal Blade Records che si è accaparrata i diritti per ulteriori due dischi oltre al qui presente “Last Rites” (non è che il titolo prometta poi tanto bene, diciamocelo).
Musicalmente parlando non sono mai stato troppo attratto da questo genere di musica, non mi ha mai affascinato e le uniche cose che ho ascoltato sono da attribuire ai capimastri del settore Candlemass (e anche qui non è che sia proprio impazzito). Perché vi dico ciò vi chiederete? Bè, detto fatto, semplicemente per farvi sapere che il mio ascolto asettico e da totale ignorante del genere non può che risultare imparziale, veritiero e spero affidabile.
Musicalmente parlando, questo “Last Rites” non mi ha convinto in pieno; si parte bene, con le prime due tracce che mettono subito in chiaro chi comanda e come intende farlo. Tinte oscure, dark, opprimenti e violente si materializzano istantaneamente facendomi credere di correre a perdifiato in un labirinto buio dalle pareti troppo strette, dove l’aria è poca e la via di salvezza è l’unica certezza assicurata: non esiste. Brani che si trascinano pesantemente, carichi di pathos ed emozioni (sempre molto doom) si succedono l’uno con l’altro, la voce di Bobby Liebling (unico membro della band sempre presente in formazione) è quanto mai azzeccata per il ruolo: come un novello virgilio del male ci conduce nei meandri dell’oscurità e ci sbatacchia qua e là come fossimo bambole di pezza. Le chitarre, vere e propri macigni, ci consentono di prendere fiato nei momenti di assolo che risultano essere assai piacevoli, la batteria è una costante pressa automatica, scandisce i rintocchi di morte e non fa che aumentare il senso di straniamento. Fin qui sembra essere tutto “rose e fiori” (o forse sarebbe meglio dire “teschi ed ossa”?), in realtà l’unica grande lacuna del platter è la ridondanza e ripetitività che si fa importante da metà album in poi; le canzoni tendono un po’ troppo ad assomigliarsi l’una con l’altra entrando pericolosamente in una spirale senza fine.

In definitiva, “Last Rites” è si un ottimo album riempitivo del genere, è sì un gradito ritorno di una band seminale che ha fatto volente o nolente la storia, ma che non si ergerà a caposaldo del genere, non diventerà album di culto, ma si spera che sarà in grado di tracciare la direzione per i prossimi album della formazione originaria della Virginia.




01. Treat Me Right
02. Call The Man
03. Into The Ground
04. 8
05. Everything's Turning To Night
06. Windmills And Chimes
07. American Dream
08. Walk In Blue Light
09. Horseman
10. Death In 1st Person
11. Nothing Left

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