Articolo a cura di Antonio Callea
Il nuovo lavoro o meglio, la nuova fatica degli Arbe Garbe, è uno di quei rari dischi (ormai) per i quali ci si può esporre ed invitare all'acquisto. Del punk violato dallo ska rimane solo una echo non pallida, quasi a reggere il poderoso nano che osserva il futuro. Il settimo album della band friulana dimostra come il gruppo riesca agilmente a mescolare jazz e noise in un turbinio che, se non fosse per il cambio di traccia, potrebbe rappresentare un'unica lunga ripresa cinematografica. Se giochiamo nel mondo di Kusturica, gli Arbe Garbe mangiano al tavolo del Re, lo fanno con disinvoltura trasformandosi ancora ed introducendo il raffinato gusto italiano per la musica cantautoriale. Ottimo il lavoro nei Morbid Sound Studio, il basso è rozzo e vibrante ma con equilibrio ed il suono complessivo risulta ricco e mai sterile, peccato solo per la batteria che in diversi pezzi risulta lievemente ovattata.
Discorso a parte va fatto per i temi trattati, incredibile la capacità di penetrare il particolare, il dimenticato, il “mai” raccontato. Nella “Preghiera per Artaud”, dedica rocambolesca ad Antonin Artaud (già ispiratore della band “Il Teatro degli Orrori), il gruppo espone il suo manifesto, il proposito ultimo: “sacrificare” tutti gli orpelli, gli artifizi, le strutture omologate, per permettere ad ogni elemento di avere lo stesso valore all'interno del racconto. Critici in “Dos Pesos” spogliano con cinismo il nuovissimo giornalismo sensazionalista, raccontano dell'uomo che vende la notizia raccolta senza alcuno scrupolo, disposto ad osservare in silenzio il male, attratto unicamente dal compenso finale. Non dimenticano di “pestare” sull'audience, sul popolino in astinenza che attende solo di aver nutrite “le orecchie con un succo denso ed unto”.
Se non vi spaventa tutto questo, se sommare Kusturica a Capossela, il free jazz allo ska, cronaca e storia, è per voi il quotidiano, allora "¡Arbeit Garbeit!" vi offrirà la possibilità di apprezzare un degno spuntino.