Amorphis
The Beginning Of Times

2011, Nuclear Blast
Gothic

Gli Amorphis abbandonano le melodie "cathcy" e cominciano a perdere colpi...
Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 30/05/11

Dieci. Doppia cifra per gli Amorphis (se escludiamo “Magic & Mayem”, raccolta di brani reincisi per il festeggiamento del ventesimo anno di carriera), che raggiungono così un traguardo figurativo ma importante. Vent’anni sono tanti, sono lunghi e cominciano a farsi sentire. La compagine finnica, tuttavia, è riuscita nel tempo a reinventarsi più volte, azzerandosi e ripartendo dal nulla, cambiando stilemi e genere, per giungere alla conformazione attuale più che mai glorificata ed acclamata. Il cambio di vocalist è stato quanto mai corroborante per la band del nord Europa, Tomi Joutsen ha saputo contribuire a rendere i dischi molto più personali e particolari (senza contare la presenza scenica, esaltata dai suoi lunghissimi dread - lo avreste mai detto che è il nostro vocalist è un finlandese d.o.c.?) dando il via alla moderna era Amorphis.

The Beginning Of Times”, contrariamente a quanto potrebbe indurvi a pensare il titolo, non dà inizio a un bel niente, anzi. Il nome dell’album è da attribuire alla storia narrata nel disco, incentrata sull’eroe Väinämöinen, uno dei protagonisti dell’ormai conosciutissimo poema epico finnico "Kalevala". L’immagine che campeggia tronfia in copertina, invece, simboleggia la nascita del nuovo mondo attraverso la schiusura dell’uovo di anatra quattrocchi (in inglese Goldeneye). Devo essere sincero, al termine del primo ascolto sono rimasto un po’ basito e deluso; mi aspettavo un altro discone del calibro di “Eclipse” o di “Skyforger” e invece, come spesso accade quando si hanno aspettative altissime, ne sono rimasto “deluso”. Successivamente, ascoltandolo e riascoltandolo, l’album ha iniziato ad ingranare, continuando però ad essere permeato da una costante sensazione di incompletezza. Come si suol dire: “non tutte le ciambelle escono col buco”.

A scanso di equivoci, brani in pieno stile Amorphis ci sono, dall’accattivante singolo “You I Need” (martellante, ossessiva e penetrante così come furono al loro tempo “House Of Sleep”, “Silent Waters” e “Silver Bride”) alla più cruenta e truce “My Enemy”, dove Joutsen ci mostra ancora una volta quanto duttile sia la sua ugola d’oro. L’opener, diciamolo, mi aveva fatto scattare i famosi campanellini d’allarme. Un soave intro di pianoforte dà il la alla canzone che però stenta a prendere il largo e si risolleva per fortuna solo nella parte conclusiva (a parer mio, però, non è sufficiente), stessa sorte spetta anche a “Crack In Stone”. “On a Stranded Shore” e “Song of The Sage” sono ben scritte, arrangiate e cantate, possiedono un ritornello e una melodia accattivante, che, a differenza di quanto accadeva negli album precedenti, qui risultano presenti in maniera drasticamente ridotta. La vera forza degli Amorphis risiedeva nelle melodie, appunto: catchy, cavalcanti e possenti; “The Beginning Of Times” è un po’ deficitario sotto questo aspetto.

Come detto da Niclas in sede di intervista: “Attualmente abbiamo inciso dieci studio album, siamo fortunati ad avere ancora idee!”, quindi non mi sento di condannare eccessivamente gli Amorphis per questo disco che sebbene non svetti né raggiunga livelli di eccellenza, non risulta nemmeno banale e brutto, semmai un po’ sofferente. Detto questo, la produzione è come sempre d’altissimo livello, la corrispondenza biunivoca pianoforte-chitarra è sempre presente e ci accompagna continuamente lungo le dodici tracce che compongono il disco. Non mi resta altro che poter ascoltare la resa live dei nuovi brani, ma per sapere cosa ne penso, sempre che vi interessi, dovrete aspettare la calata italica degli Amorphis nel bel paese nel mese di novembre. Nel frattempo ascoltatevi il nuovo lavoro e scrivete qui sotto cosa ne pensate.




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