Devin Townsend Project
Ghost

2011, InsideOut Music
Alternative Rock/Ambient

Con "Ghost" il progetto di Devin Townsend si chiude in bellezza
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 16/06/11

Ed ecco finalmente “Ghost”, capitolo finale della quadrilogia iniziata ben due anni fa, quando cominciarono a rincorrersi per il web le notizie su una serie di album ad opera del canadese Devin Townsend, sotto il moniker di “Devin Townsend Project”. Il tempo sembra volato e quelle vaghe dichiarazioni, si sono trasformate oggi in splendida realtà.

Come ormai saprete, se “Deconstruction”, il terzo disco della serie, doveva rappresentare il lato più violento del musicista canadese, il quarto tassello del progetto era destinato verso sonorità ambient, marcando quindi un netto contrasto col predecessore. Le similitudini e le varie figure retoriche si sprecano: “Deconstruction” e “Ghost” come lo yin e lo yang, le due facce della stessa medaglia, il folle bipolarismo della mente di Devin, ecc.. Chiamateli come volete ma, seppur distanti musicalmente anni luce l'un l'altro, questi due album sono davvero come fratelli siamesi, ognuno con una propria anima e identità, ma uniti a doppio filo, accomunati dalla volontà di Hevy Devy di esplorare i suoi territori musicali in modo mai così profondo e radicale. La complessità, la lucida pazzia e ironia di “Deconstruction”, la continua tensione spirituale, la morbidezza e l'eleganza di “Ghost”. Elementi che da sempre caratterizzano la musica del nostro, ma che stavolta vengono sviluppati su due binari differenti, esasperandone i contenuti.

Se per “Deconstruction” avevamo detto che in realtà non si tratta dell'album più pesante della sua carriera (per la spiegazione vi rimandiamo alla recensione), anche per “Ghost” dobbiamo affermare che il buon Devin si è leggermente staccato dall'idea di un album ambient. Sicuramente, a leggere quella fatidica news citata a inizio pagina, la mente di molti sarà andata agli esperimenti ambient non troppo riusciti come “Devlab” o “The Hummer”, pericolo che fortunatamente è stato scampato. Perchè “Ghost” è “anche” un album ambient, in cui però convivono altre anime, su tutte una forte tensione new vawe. Un nuovo disco manco a dirlo dalle proporzioni titaniche (stavolta siamo sui settantadue minuti abbondanti), in cui i suoni appaiono ovattati, un effluvio di strumenti acustici, di flauti (è stato utilizzato pure uno strumento a vento cinese, il bawu), batteria jazz oriented appena accennata, lunghi intermezzi ambient/elettronici, rumori bucolici e intrecci vocali quasi impalpabili. Non indecifrabili ronzii alla “The Hummer”, ma vere e proprie canzoni che si sviluppano lentamente, senza stacchi l'una dall'altra, durante le quali il tempo sembra fermarsi magicamente. Immaginate a grandi linee tutta la parte “ambient” di un album come “Terria”, sviluppata però in modo da consegnarci un nuovo album da brividi lungo la schiena.

Perché sono brividi quelli che si percepiscono durante “Fly”, “Heart Baby”, la lunghissima “Feather”, con due minuti finali a dir poco paradisiaci. Un disco da ascoltare con pazienza, in un lungo raccoglimento teso a carpirne ogni minima sfumatura, una melodia di flauto, lo scorrere di un ruscello, solenni aperture ambient, loop elettronici, vocalizzi eterei... Tutto questo è “Ghost”, una lavoro in cui tutto assume una dimensione spirituale, dove un'apparente staticità di fondo deve solo essere messa a fuoco, rivelando poi una miniera di passaggi da pelle d'oca. “Monsoon”, “Texada”, la liquida “Infinite Ocean”, non chiedono altro che la vostra completa dedizione, sapendo di potervi ripagare alla grande. Fortunatamente non tutti i settantadue minuti sono così impegnativi, Devin ci da occasione di rilassarci brevemente con la struggente ballata “Kawaii”, la frizzante “Ghost” e “Blackberry”, dal carattere tipicamente country, in cui il nostro si cimenta col banjo, senza tradire lo spirito dell'album. Pezzi più diretti che, nonostante tutto, mantengono inalterato l'alone mistico del disco.

Fondamentali in questo senso gli ospiti presenti, non “roboanti” come quelli in “Deconstruction”, ma decisamente più funzionali: il polistrumentista Dave Young (tastiere e mandolino), Mike St. Jean alle pelli, Kat Epple al flauto e Katrina, la bravissima vocalist che accompagna Devin per tutta la scaletta di “Ghost”. Un lavoro ideale per rilassarsi, provare forti emozioni, per ritornare finalmente a sentirsi appagati dopo l'ascolto di un disco. Ultimo capitolo ed ennesimo centro per il “Devin Townsend Project”, l'ennesima dimostrazione della bravura di questo grandissimo artista. Cosa ci riserverà il futuro? Devin ha già accennato un nuovo progetto, un possibile “Ghost 2”, oltre a un nuovo capitolo (svelato tempo fa) della saga dell'alieno amante del caffè Ziltoid. Noi staremo a vedere, certi che di qualunque cosa si tratti, il buon Devin non mancherà di stupirci.



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